Chiunque sia vicino al mondo dell’autismo e alla sindrome di Asperger non può non rintracciarne alcune caratteristiche in Allevi

Osservare un’intervista al pianista Giovanni Allevi, noto compositore e pianista italiano, è sicuramente un’esperienza interessante, può suscitare simpatia (a me ne suscita tantissima!), antipatia, ma è certo che qualcosa di forte lo susciti. Chiunque sia vicino al mondo dell’autismo ed in particolar modo dell’Asperger, non può non notare una certa Aspergitudine di Allevi: la goffagine, lo sguardo sfuggente, la risata non sempre contestuale e poi il suo racconto: la sua vita fatta di ansia, attacchi di panico, aspettative che lo schiacciano ma il grande amore (paragonabile ad un interesse pervasivo) per la musica.

Allevi sembrerebbe un personaggio dalle scarsi doti sociali, ma sicuramente dotato di un talento spiccato (quello per la musica) a cui si è dato anima e corpo. Questa breve considerazione non vuole assolutamente essere un iter diagnostico di Allevi, ma semplicemente la sottolineatura di come tutta una serie di caratteristiche, che potrebbero sembrare solo zavorre, non vogliano proprio dir nulla.

L’essere umano è sempre aperto al “divenire”, il punto di partenza può essere più o meno positivo ma non dice nulla su dove quella persona arriverà, quali traguardi riuscirà a raggiungere.

Durante un’intervista Allevi raccontava la sua esperienza al liceo, si descriveva come il compagno strano, isolato, non interessato alle uscite ma solo allo studio e a quello della musica in particolare. Insomma era il compagno invisibile, quello non invitato alle feste, non integrato. Sentire questo spaccato di vita mi ha intenerita perché mi ha ricordato i ragazzini con cui lavoro: quanti di loro sono quello strano della classe?! Ma tanto basta per dire che quel ragazzo non ce la farà? No.

Credo che tutti noi abbiamo avuto quel compagno di classe un po’ strano e bizzarro, ma anche quel compagno che era così bravo e secchione e che poi non si è realizzato. La partita con la vita ci cambia carte in continuazione, dobbiamo sia avere una buona mano che saperle giocare. È ormai assodato che l’autismo, anche Asperger, è un modo di essere che può condurre lontano. Ora proviamo ad immaginare se quel giovane Allevi, adolescente invisibile, fosse stato un gran festaiolo, pieno di amici, inviti e con una soddisfacente vita relazionale. Oggi sarebbe il genio che è? Non credo!

Ultimamente sto lavorando con un bimbo di nemmeno 3 anni che presenta tutti gli indicatori di un autismo che via via si va strutturando. A differenza di altri casi in cui riesco ad ottenere risultati in tempo minore, per quanto mi sforzassi con questo bambino non riuscivo a cavare una parolina o un miglioramento comunicativo significativo. All’ultima seduta sono arrivata abbastanza frustrata, chiedendomi cosa sbagliassi e potessi fare di più.

Il piccolo arriva, iniziamo a lavorare, al momento giusto riesco ad inserire una routine giocosa che a lui piace molto, lo coinvolgo tantissimo, creo delle giuste imitazioni e finalmente “patata”, “carota”, “Latte”.. il piccolo inizia a parlare! Tale esempio è semplicemente teso a sottolineare che con l’autismo non bisogna demordere mai, né darsi per vinti, né farsi scoraggiare da un inizio difficile.

Anche gli inizi più difficili possono nascondere un grande talento e non è giusto che l’ansia di chi vive accanto ad un soggetto con autismo oscuri tutto e faccia vedere tutto nero, finanche il suo futuro!

Insomma possiamo conoscere il nostro punto di partenza, ma questo non predetermina quello di arrivo!

Dr.ssa Rosaria Ferrara

Psicologa

 

 

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