Giornalista risarcita perché l’azienda non fa rispettare il divieto di fumare

Linea dura della Cassazione contro le aziende lassiste. Al datore di lavoro non basta predisporre qualche circolare anti-fumo: per potersi dire in regola con la legge, dovrà far rispettare dai suoi dipendenti il divieto di fumare .

Il caso emblematico è quello della Rai, prima grande azienda a fare i conti con gli “ermellini” che l’hanno giudicata “manchevole” per non aver preso provvedimenti contro chi infrangeva le disposizioni in materia di fumo che vietavano le sigarette in tutti gli ambienti dell’ufficio.

Per questo l’azienda dovrà risarcire una ex conduttrice del Tg3 per danni biologici e morali da fumo passivo: secondo le perizie svolte in primo e in secondo grado, era emersa “la riconducibilità eziologica della patologia riscontrata a carico della lavoratrice alle condizioni di lavoro, ravvisando un danno biologico pari al 15%, con conseguente risarcimento”. Alla ex dipendente, ora in pensione, andranno quasi 32mila euro più interessi, nonostante il tentativo di difesa di Viale Mazzini.

Secondo i giudici della Suprema Corte, infatti, circolari e direttive “non costituiscono, evidentemente, misura idonea a contrastare i rischi da esposizione da fumo passivo” se non si fanno rispettare con sanzioni. Le disposizioni contro il fumo, come rilevano gli ‘ermellini’ che hanno condiviso quanto appurato dalla Corte di Appello di Roma, rimanevano “praticamente inattuate” in virtù della scelta “cosiddetto approccio persuasivo e non repressivo”. Il tutto è stato sottolineato nel verdetto 4211 depositato dalla Sezione lavoro della Cassazione.

Si tratta di un caso che interesserà molto gli imprenditori e i titolari di aziende che fino ad ora si erano mostrati in varie misure tolleranti nei confronti dei fumatori.

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