La Cassazione inquadra più precisamente i diritti del disoccupato

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La Cassazione fa ben sperare anche per il futuro. Capita che si leggano sentenze che fanno riconciliare con il mondo giuridico e che danno il senso della giustizia, intesa non quale rigida applicazione delle norme, ma interpretazione delle stesse, alla luce dei principi generali ispiratori dello stato di diritto. 

Con la sentenza n° 18611 del 22/10/2015, la sez. III, la Cassazione Civile, svincolandosi dai precedenti giurisprudenziali, afferma il riconoscimento del danno patrimoniale al disoccupato e, poi, quale corollario, il danno morale ed esistenziale oltre le tabelle. Il fatto è rappresentato da un incidente da circolazione stradale, subito da Tizio, all’interno di una fiera campionaria, causato da un veicolo industriale di proprietà di una società, regolarmente assicurato, il cui conducente “con una imprudente manovra aveva travolto e schiacciato il pedone P., trentatreenne, procurandogli lesioni gravissime con invalidità permanente e perdita della capacità lavorativa.” 

Il danneggiato, al momento del sinistro, era disoccupato ma in procinto di ottenere il brevetto di istruttore di volo per avviare una scuola di volo con attività commerciale accessoria. Dopo varie vicende processuali, che vedono Tizio in parte soccombente (la C.A. nega il risarcimento del danno subito per lucro cessante, sul rilievo che lo stesso era disoccupato, pur avendo avviato un progetto per la attività imprenditoriale diretta a creare una scuola di volo con fornitura di materiale e di personale tecnicamente qualificato) la Cassazione, adita dal danneggiato, in accoglimento parziale del ricorso, enuncia un principio in materia di macrolesioni che ristabilisce giustizia.

Infatti, a fronte di una sentenza della Corte d’Appello che “nega il risarcimento del danno patrimoniale futuro, determinato dalla perdita totale della capacità produttiva, come medicalmente accertata e non controversa, sul rilievo che il 33 enne TIZIO, che era in procinto di ottenere il brevetto di istruttore di volo per avviare una scuola di volo ed attività commerciale accessoria, era in realtà un disoccupato, e che la sua distruzione fisica e della validità lavorativa non era produttiva di un danno futuro quantificabile”, la Cassazione afferma che una volta dedotto e provato “il pregiudizio al diritto al lavoro, costituzionalmente garantito, di soggetto che propone una attività imprenditoriale lecita che tuttavia esigeva la integrità psicofisica,…è irrilevante che l’impedimento provocato dal fatto lesivo, sia riferibile a quel primo progetto di attività lavorativa, se il fatto stesso nella sua entità impediva ora e per sempre qualsiasi possibile altra alternativa di lavoro.” 

Nel caso di specie, secondo la Cassazione (diversamente da quanto sostenuto dagli altri Giudici aditi) non esiste alcun vincolo di conformazione ai principi  enunciati dalle Sezioni Unite del luglio 2015, che risolvono il conflitto sul tema specifico del danno per la perdita della vita derivante da fatto illecito e, ciò, perché: “il tema di cui si occupa questa sezione semplice, …attiene invece alla lesione grave del bene della salute ed alla sue conseguenze delimitate ai danni patrimoniali e non patrimoniali direttamente subiti dal macroleso”, rilevando, la Suprema Corte, la necessità, non avvertita erroneamente dalla Corte d’Appello, “sul piano sistematico e proporzionale, della tutela della persona umana, lesa da un illecito, di considerare i principi generali del neminem laedere e del danno ingiusto, in una fattispecie dove la perdita della salute viene ad incidere non solo sulla invalidità e sulla inabilità della persona, ma anche sugli aspetti dinamico relazionali.” 

Con la sentenza in commento è stato affermato il principio secondo il quale, provato il pregiudizio al diritto al lavoro, costituzionalmente garantito, di un soggetto che propone una attività imprenditoriale lecita, che esigeva la integrità psicofisica (istruttore di volo), è irrilevante che l’impedimento provocato dal fatto lesivo sia riferibile ad un progetto di attività lavorativa, se il fatto stesso nella sua entità impedisce per sempre qualsiasi possibile altra alternativa di lavoro.

E’ un piacere, poi, leggere la parte motiva della sentenza che conferma quanto sopra detto, in merito alla necessità di una giustizia più “sensibile”: “in considerazione della circostanziata descrizione delle drammatiche condizioni di vita del grande invalido, che potrà avere un grande cuore ed un grande coraggio di sopravvivenza, ma che vive solo se costantemente assistito, curato, medicato, operato, e dunque tutte queste componenti fisiche, psichiche e spirituali del dolore umano, meritano una migliore attenzione rispetto al calcolo tabellare dove la personalizzazione è pro quota, mentre deve essere ad personam”. 

La Suprema Corte, conseguentemente, riconsidera l’aggravamento del danno biologico permanente (in particolare il c.d. danno sessuale per la perdita dei rapporti sessuali) dandogli rilievo autonomo e non valutandolo come un elemento di personalizzazione da definire con la liquidazione del danno morale, inteso come appesantimento del punto standard tabellare.

Del pari ammissibile, secondo la Corte, il danno biologico per la inabilità temporanea futura in relazione ai vari interventi chirurgici, necessari nel tempo, per assicurare la efficienza fisica e le funzioni vitali. Una buona ed illuminante sentenza quella in commento, soprattutto se si considera che precedentemente, la stessa Cassazione richiedeva la sussistenza di presupposti molto stringenti per il riconoscimento al danneggiato di quanto sopra, come ad esempio: prova del pregresso svolgimento di una attività economica; concreta dimostrazione che la riduzione della capacità lavorativa abbia prodotto un effettivo pregiudizio economico; quantificazione della misura mediante CTU.

Avv. Fabrizio Cristadoro

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