La circostanza aggravante della relazione affettiva nel reato di stalking deve essere valutata in senso lato e non si esaurisce nella sola convivenza (Cass. pen., Sez. V, dep. 18 marzo 2022, n. 9406).

La circostanza aggravante nel reato di atti persecutori,  per relazione affettiva, non è da intendersi con la sola stabile condivisione della vita comune, ovvero il coinvolgimento sentimentale,  ma qualsiasi legame di significativa frequentazione, indipendentemente dalla convivenza con la vittima, dalla stabilità e/o durata della relazione, che faciliti il delitto, consentendo allo stalker lo sfruttamento del rapporto di fiducia della vittima nei suoi confronti.

La circostanza aggravante nel reato di stalking veniva pronunziata dalla Corte d’Appello di Milano, che confermava la decisione del Tribunale di Udine con cui l’imputato è stato condannato a 11 mesi di reclusione, perchè responsabile di stalking e lesioni aggravate ai danni della compagna, con il riconoscimento dell’aggravante della recidiva reiterata specifica (infraquinquennale).

La vittima, che dopo qualche tempo dall’inizio del rapporto aveva notato un atteggiamento insano ed assillante da parte dell’imputato, tentando di allontanarlo, è stata colpita da questi con pugni al volto, perché si era rifiutata di dormire con lui, riportando da tale aggressione lesioni gravi, consistite in fratture delle ossa del naso, giudicate guaribili in 15 giorni.

L’uomo ricorre in Cassazione deducendo, tra i vari motivi, l’inesistenza di una relazione affettiva di ordine sentimentale tra lui e la vittima, come quella richiesta dall’art. 612-bis c.p., di talchè l’insussistenza di circostanza aggravante, non essendoci stata coabitazione, ma solo un rapporto di amicizia sfociato in rapporti sessuali occasionali.

La censura è inammissibile.

Secondo la Suprema Corte, in tema di atti persecutori, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 612-bis, comma 2, c.p., per “relazione affettiva” non s’intende necessariamente la sola stabile condivisione della vita comune, ma anche il legame connotato da un reciproco rapporto di fiducia.

In ciò, viene ripreso e confermato il precedente (Cass. n. 11920/2018), che argomenta proprio sulla circostanza aggravante della relazione affettiva tra la vittima e il persecutore.

Nel caso esaminato, ad ogni modo, la relazione affettiva tra le parti può dirsi senz’altro presente, a prescindere dalla percezione della sua natura che ha il ricorrente.

Ne consegue, quindi, che «in tema di atti persecutori, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 612-bis, comma 2, c.p., per “relazione affettiva” non s’intende necessariamente la sola stabile condivisione della vita comune ovvero il coinvolgimento sentimentale con prospettive di futuro duraturo, ma qualsiasi legame di significativa frequentazione, indipendentemente dalla convivenza con la vittima, dalla stabilità e/o durata della “relazione”, che faciliti il delitto, consentendo all’agente lo sfruttamento del rapporto di fiducia della vittima nei suoi confronti».

In motivazione, la decisione impugnata ha chiarito che deve risultare l’esistenza di un legame stretto tra l’abusante e la vittima, dal quale sia scaturito, quantunque per un breve lasso di tempo, una comunanza di sentimenti che, se anche non sfociati in rapporti sessuali, si siano tradotti in un idem sentire o nell’assunzione, anche solo potenziale, di doveri di umana solidarietà, situazioni configurabili anche in modo alternativo tra loro che non costituiscono prerogativa delle sole coppie conviventi.

Il ricorso viene dichiarato complessivamente inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della Cassa Ammende dell’importo di euro 3.000,00.

Avv. Emanuela Foligno

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