Disastro ferroviario e principi di indagine del nesso causale vengono vagliati dalla decisione qui a commento (Cass. pen., sez. IV, dep. 17 marzo 2022, n. 9001).
La Suprema Corte enuncia i criteri per indagare il nesso causale tra la condotta colposa e l’evento, nell’ambito di attività pericolose, con particolare riguardo al disastro ferroviario in ambito di trasporto pubblico.
La rilevanza giuridica dei fattori potenzialmente in grado di escludere la colpa del reo in caso di incidente e, non di meno, la responsabilità civile del gestore della rete ferroviaria che avrebbe dovuto predisporre idonee misure, tecniche ed organizzative per scongiurare o, quanto meno, ridurre alla minima probabilità, il rischio che la condotta dell’agente potesse cagionare un danno ad altri.
Il giudizio riguarda un disastro ferroviario verificatosi in Sardegna nel 2007 che esitava con la morte di quattro persone e lesioni gravi di numerosi passeggeri.
Nello specifico, in un nodo nel quale la circolazione avveniva tramite monorotaia, si erano scontrati un treno merci ed un treno passeggeri, provenienti da direzioni opposte. Dai rilievi compiuti nell’immediatezza, e dagli accertamenti svolti, emergeva che l’impatto era avvenuto in una curva cieca, coperta da una vegetazione che, in aperta campagna, ne occultava quasi completamente la vista.
Il Treno era partito con leggero anticipo, ma al capotreno e al macchinista, non venivano fornite le prescrizioni necessarie a tener conto dell’incrocio con il treno merci, attendendo il via libera per riprendere il viaggio, in prossimità del tratto interessato.
Nei giudizi di merito veniva accertata la responsabilità del macchinista, che si reputava aver agito con negligenza, imprudenza ed imperizia, e veniva anche confermata la condanna della società di cui egli era dipendente, quale responsabile civile.
Entrambe le parti ricorrono in Cassazione, denunciando: error in iudicando e travisamento del fatto, per non aver considerato le cause interruttive del nesso causale tra condotta e l’evento di disastro ferroviario; errata applicazione della legge processuale, per non aver rinnovato l’istruttoria, assumendo prove idonee ad esplorare il mancato rispetto degli standard di sicurezza da parte del vettore ferroviario e, così, l’insussistenza di tale componente del fatto tipico, trascurando la ragionevolezza della tesi difensiva alternativa e, sotto diverso profilo, per non aver rilevato la nullità della CTU richiesta dal Pubblico Ministero; plurimi vizi della motivazione, relativi alla legittimazione passiva della società subentrata al precedente concessionario, nonché alla mancata riconduzione di tale titolo di responsabilità all’esercizio di attività pericolose, non avendo così verificato la presenza di adeguate misure di precauzione, quale c.d. prova liberatoria.
Gli Ermellini si concentrano sulla dinamica del disastro ferroviario e analizzano, in prospettiva penalistica, le possibili interruzioni del legame tra il comportamento dell’agente e l’evento criminoso; sul piano civilistico, come indicatori capaci di introdurre un limite alla presunzione che avrebbe impedito qualunque difesa al datore di lavoro (altrimenti responsabile ex art. 2049 c.c.).
I Giudici di merito hanno giustificato, con motivazione congrua ed immune da vizi, l’assenza di decisività dei mezzi di prova in considerazione del fatto che le difficili condizioni nelle quali il vettore svolgeva il proprio ruolo (grossolani sistemi di controllo della circolazione e comunicazione con i colleghi; possibile scarto orario di partenza e arrivo dei convogli; marcia su binario unico), non erano circostanze eccezionali e imprevedibili e, come tali, inidonee ad influire sul rapporto causale.
Ed anzi, a maggior ragione, proprio le difficili condizioni di trasporto ferroviario, avrebbero dovuto indurre il vettore al rigoroso adempimento delle prescrizioni di sicurezza che gli erano state impartite per gestire casi simili ed evitare danni.
E’ pacifico, sottolinea la Corte, l’orientamento secondo cui un’attività possa considerarsi pericolosa, “per la sua stessa natura, per le caratteristiche dei mezzi adoperati o per la sua spiccata potenzialità offensiva, comportante la rilevante possibilità del verificarsi di un danno”,
Sul punto, correttamente, il Giudice di merito, valorizzava le modalità rudimentali del controllo della circolazione e della comunicazione via radio, suscettibili di generare equivoci tra gli operatori, spingendosi ad indagare, ed escludere, la sussistenza della prova liberatoria prevista dall’art. 2050 c.c.
Il ricorso viene integralmente respinto con conferma delle statuizioni sulla responsabilità per disastro ferroviario, statuite nella fase di merito.
Avv. Emanuela Foligno
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