Il riferimento utilizzato dalla parte alla somma maggiore o minore che risulterà in corso di giudizio non è mai una clausola di stile qualora la liquidazione del danno e la sua stima sono effettivamente incerti (Cassazione civile sez. III, 15/11/2024, n.29537).
La vicenda
La paziente, ritenendo di aver subito un danno nel corso della operazione avvenuta presso l’Azienda Ospedaliera di Udine, a causa del quale ha dovuto altresì contrarre la sua attività professionale di agente di commercio, ha azionato il giudizio per ottenere il risarcimento dei danni, che, nella domanda introduttiva, sono stati quantificati in 350.000 euro.
Il Tribunale di Udine ha riconosciuto l’errore professionale e ha liquidato una complessiva somma di 21.158 euro, comprensiva sia del danno non patrimoniale che di quello patrimoniale. Avverso tale decisione la paziente ha proposto appello lamentando una erronea valutazione del danno, in tutte le sue componenti, e dunque una erronea valutazione da parte del consulente tecnico delle conseguenze dannose. La Corte di appello di Trieste ha ridotto la somma riconosciuta alla paziente a 9.976,10 euro.
Il ricorso in Cassazione
La questione finisce in Cassazione dove viene contestata la decisione della Corte di appello, che ha ritenuto determinata la richiesta di risarcimento del danno in 15.000 euro complessivi: decisione che ha ritenuto che la clausola con cui si chiedeva comunque il riconoscimento di un “maggiore somma che fosse risultata all’esito dell’istruttoria”, era una mera clausola di stile che non vincolava il giudice il quale, invece, doveva tenere come richiesta determinata quella dei 15.000 euro.
Secondo la ricorrente, la quale tra l’altro precisa che la somma di 15.000 euro è il frutto di un refuso, poiché si voleva intendere quella di 150.000 euro, i Giudici di appello hanno fatto erronea applicazione delle regole in tema di clausola di salvaguardia. Queste prevedono che l’espressione utilizzata dalla parte, ossia il riferimento alla somma maggiore o minore che risulterà in corso di giudizio, non è mai una clausola di stile qualora la liquidazione del danno e la sua stima sono effettivamente incerti, proprio in quanto quella incertezza induce la parte a non poter precisare la domanda o comunque a lasciare aperta la richiesta di risarcimento.
In sintesi, la ricorrente ritiene che la stima del danno era oggettivamente difficile, come è emerso anche dalle stesse CTU, e che proprio tale difficoltà l’aveva indotta a lasciare aperta la questione della quantificazione attraverso la clausola di salvaguardia, che dunque non poteva intendersi come mera clausola di stile.
La clausola di salvaguardia
La Suprema Corte respinge in toto le doglianze. A fronte di una richiesta di risarcimento per un totale di 15.000 euro, il Giudice di primo grado ne ha riconosciuti 21.000 circa. Qualora si ritenesse che la clausola di salvaguardia era una clausola di stile, e dunque che la richiesta era esattamente determinata in 15.000 euro, è evidente che la ricorrente non aveva interesse di impugnare non essendo soccombente.
È infatti il principio di diritto che la formula “somma maggiore o minore risultante all’esito dell’istruttoria” o altre espressioni consimili, che accompagna le conclusioni con cui una parte chiede la condanna al pagamento di una somma determinata, non costituisce una clausola meramente di stile quando persiste una ragionevole incertezza sull’ammontare del danno effettivamente da liquidarsi, con la conseguenza che detta clausola è priva di rilevanza se, all’esito dell’istruttoria, compiuta anche tramite CTU, sia risultata una somma maggiore di quella originariamente richiesta e la parte si sia limitata a richiamare le conclusioni rassegnate con l’atto introduttivo e la formula ivi riprodotta.
In altri termini, qualora la CTU abbia stimato e precisato il danno, non esiste più incertezza sul suo ammontare e la reiterazione di quella clausola è un fatto “pedante”. La ricorrente, dopo il deposito della CTU, nella comparsa conclusionale, ha ridotto la sua pretesa da 350.000 a 15.000 mila euro, con ciò lasciando intendere che aveva preso atto della stima con cui il CTU aveva ridotto l’ammontare del danno e che dunque, se vi potesse essere incertezza originaria su tale ammontare, tale incertezza era in gran parte, se non del tutto, venuta meno a seguito della Consulenza tecnica.
Avv. Emanuela Foligno