In una recentissima sentenza (n. 28246 del 7 luglio 2016 La Corte di Cassazione, IV Sezione Penale) la Suprema Corte torna ad approfondire il rischio terapeutico, affrontando la questione se, nel caso di lesioni personali, seguite da decesso della vittima dell’azione delittuosa, l’eventuale negligenza o imperizia dei medici possa elidere il nesso di causalità tra la condotta lesiva dell’agente e l’evento morte.

Nello sviluppo del rilevante argomento, la Cassazione richiama la giurisprudenza di legittimità formatisi sul punto nel corso degli anni, secondo cui nel caso di incidente stradale causativo di lesioni, anche l’ipotetica negligenza o imperizia dei sanitari, persino nel caso di elevata gravità, non sarebbe comunque idonea ad elidere il nesso causale tra la condotta e l’evento morte, in quanto l’intervento dei sanitari costituisce, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e prevedibile, anche nei possibili errori di cura, mentre ai fini della esclusione del nesso di causalità occorre un errore sanitario del tutto eccezionale e da solo idoneo a determinare l’evento letale.

Pertanto, con la Sentenza n. 28246 del 7 luglio 2016 La Corte di Cassazione, IV Sezione Penale vuole fare luce sul rapporto intercorrente tra il rischio da circolazione stradale e il rischio sanitario, definendo limiti e confini delle rispettive responsabilità riguardo l’evento morte.

Veniamo al caso.
Nella fattispecie in esame, prima di approdare al giudizio di legittimità, il Tribunale penale condannava una signora per il reato di omicidio colposo del sig. F.D., commesso con violazione delle norme inerenti la circolazione stradale.
Nello specifico, a seguito di sinistro stradale ascrivibile a colpa dell’imputata, il signor F.D. riportava una frattura della testa omerale, che rendeva necessario un intervento chirurgico.

L’intervento chirurgico, tuttavia, non si concludeva con esito positivo, in quanto si verificava il decesso del soggetto leso nell’incidente stradale.

La sentenza veniva impugnata dall’imputata, ma la Corte di Appello confermava in pieno la sentenza di primo grado.
Tuttavia, avverso la decisione della Corte di appello l’imputata presentava ricorso per cassazione, deducendo inosservanza o erronea applicazione dell’art. 41 c.p., comma 2 (“le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento”).

Secondo la tesi difensiva dell’imputata, infatti, il successivo decesso dell’investito, sopraggiungeva a causa di una “trombo-embolia polmonare massiva” verificatasi a seguito di un intervento chirurgico volto a sostituire la testa omerale con una protesi, di talchè non si poteva evincere un rapporto di causalità riconducibile alla errata condotta di guida della signora.

La difesa dell’imputata poneva in evidenza che al momento del ricovero ospedaliero, avvenuto nell’immediatezza temporale dell’incidente stradale, il personale medico intervenuto aveva escluso per il danneggiato ogni ipotesi di pericolo di vita, sottolineando inoltre che, il decesso del pedone investito sarebbe intervenuto quale complicanza del tutto eccezionale ed imprevedibile delle lesioni subite a causa del sinistro, e riconducibile unicamente all’intervento chirurgico, con conseguente applicabilità della disciplina posta dall’art. 41, comma 2 c.p., in tema di interruzione del nesso causale.

Tale tesi seppure energicamente enucleata non regge però al vaglio della Suprema Corte.
La Cassazione, infatti rigetta il ricorso per infondatezza delle argomentazioni ivi svolte, osservando che nel caso in esame, entrambi i gradi di merito hanno risolto la questione con una totale esclusione di ogni ipotesi di colpa del personale sanitario, con motivazioni congrue ed immuni da vizi logici.

Inoltre, secondo orientamento giurisprudenziale univoco presso la Suprema Corte, in caso di sinistro stradale che abbia dato luogo a lesioni, anche l’eventuale negligenza o imperizia dei medici, finanche nel caso di loro elevata gravità, non sarebbe in ogni caso idonea ad interrompere il rapporto di causalità tra la condotta del responsabile dell’incidente e l’evento morte.

L’intervento sanitario, infatti, costituisce, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e del tutto prevedibile, anche riguardo i potenziali errori medici, di talché, ai fini della esclusione del rapporto di causalità dovrebbe verificarsi un errore sanitario del tutto eccezionale ed imprevedibile che risulti da solo idoneo a determinare l’evento letale.

La eventuale colpa sanitaria, osserva la Suprema Corte, “anche se grave, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente rispetto al comportamento dell’agente che, provocando il fatto lesivo, ha reso necessario l’intervento dei sanitari: la negligenza o imperizia dei medici non costituisce di per sé un fatto imprevedibile, eccezionale, atipico rispetto alla serie causale precedente di cui costituisce uno sviluppo evolutivo normale anche se non immancabile”.

Pertanto, la comparazione dei rischi consente di escludere l’imputazione al primo agente soltanto quando le lesioni originarie non avevano creato un pericolo per la vita, ma l’errore medico abbia dato luogo ad un rischio mortale che si sovrappone e supera le lesioni iniziali costituendo un pericolo precedentemente inesistente.

La Cassazione per fare maggiore chiarezza sul punto richiama un caso “peculiare” di rischio terapeutico idoneo a escludere la responsabilità del primo agente: l’errore nella individuazione del gruppo sanguigno.

Questa ipotesi è significativa ed emblematica riguardo la teoria del rischio, poiché chiarisce molto bene l’esclusione dell’imputazione del fatto. Tale esclusione si verifica laddove risulti enorme la “sproporzione” tra la situazione di pericolo modesta determinata dal sinistro (nel caso di specie si constatava la frattura femorale) e l’esito letale determinato dal macroscopico ed imprevedibile errore nell’individuazione del gruppo sanguigno.

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte invece non si è verificato alcun evento macroscopico ed imprevedibile idoneo ad interrompere il rapporto di causalità, per cui è stata confermata la responsabilità dell’investitore del pedone.

Da questa vicenda giudiziaria possiamo quindi estrapolare un principio molto chiaro: se è vero che un buon intervento chirurgico può ridurre le conseguenze “penali” del fatto in capo al colpevole, è altrettanto vero che, un intervento chirurgico “mal riuscito” non necessariamente esclude o riduce le responsabilità di chi ha causato l’incidente.

In maniera del tutto condivisibile i Giudici della Suprema Corte considerano anche “per colpa di chi” un soggetto si trova ricoverato in ospedale.

Avv. Francesco Abbate 

(foro di Latina)

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1 commento

  1. Questo articolo mi ha tolto un sacco di dubbi!.
    Ringrazio la rivista per il suo importante servizio e l’Avvocato Francesco Abbate per la sua professionalità e chiarezza espositiva!
    Antonio N.

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