La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sulla responsabilità processuale aggravata e ribadisce un principio fondamentale: non si può riconoscere una condanna per lite temeraria senza la prova concreta del danno (Corte di Cassazione, V – Tributaria civile, ordinanza 14 aprile 2025, n. 9712).
Con questa motivazione, è stata annullata la condanna da 50mila euro a carico dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER), precedentemente disposta dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio. La sentenza offre chiarimenti importanti sull’applicazione dell’art. 96 c.p.c., distinguendo tra le varie forme di responsabilità e sottolineando l’onere di allegazione e prova del pregiudizio subito.
Il fatto
L’Agenzia delle Entrate-Riscossione ricorre nei confronti del contribuente. La Commissione Provinciale Tributaria di Roma accoglie l’appello della contribuente avverso la sentenza della CTP che aveva rigettato il ricorso avverso l’intimazione di pagamento – ed ha accolto anche la domanda della contribuente ex art. 96, secondo comma, cpc condannando l’Ente di riscossione a risarcire i danni della lite temeraria liquidati in 50.000 euro.
ADER ricorre in Cassazione lamentando la nullità della sentenza, nella parte relativa alla condanna per lite temeraria, per errata interpretazione e infondatezza in fatto e in diritto della sentenza di secondo grado.
Secondo ADER la motivazione della sentenza sarebbe apparente in quanto la determinazione dell’importo del risarcimento non è sorretto da un adeguato percorso argomentativo non essendo calibrata su un parametro oggettivo quale il valore della controversia o l’importo delle spese processuali, con il limite della ragionevolezza.
Risarcimento sproporzionato e motivazione inadeguata secondo ADER
Tale importo per lite temeraria sarebbe del tutto sproporzionato rispetto al valore della causa; che la CTR ha posto a fondamento della condanna il fatto che il contribuente avesse rottamaio una cartella già annullata per il valore di 37.000 euro, non avvedendosi che la somma corrisposta era solo una parte di quella originaria. Infine, evidenzia che nella quantificazione del danno non può avere rilievo la malafede o la colpa grave in quanto il pregiudizio doveva necessariamente essere ancorato al danno subito, risarcito in via equitativa ed equilibrata rispetto agli interessi coinvolti.
La doglianza è fondata. La condanna risarcitoria di cui ai primi due commi dell’art. 96 c.p.c. ha tra i suoi elementi costitutivi il danno, patito dalla controparte del improbus litigator, eziologicamente derivante dal contegno illecito di quest’ultimo.
Detto danno costituisce pregiudizio ulteriore rispetto alle spese di lite, oggetto invece della condanna al rimborso, ai sensi dell’art. 91 c.p.c.
Presupposti e limiti della condanna ex art. 96 c.p.c.
In ciò la fattispecie si differenzia dalla condanna equitativamente determinata, di cui al successivo terzo comma che è volta invece a salvaguardare, oltre all’interesse della parte vittoriosa, la finalità pubblicistica della sollecita ed efficace definizione dei giudizi, presuppone la pretestuosità, l’inconsistenza giuridica, la palese e strumentale infondatezza e, in genere, il carattere abusivo dell’iniziativa giudiziaria, ma non richiede né la domanda di parte né la prova del danno.
Non assume rilievo la circostanza che il danno da lite temeraria deve poter essere liquidato in via equitativa. La possibilità di liquidazione equitativa, infatti, presuppone soltanto l’impossibilità, o la particolare difficoltà di provarne, il suo preciso ammontare ex art. 1226, ma non consente di derogare né all’accertamento della sua effettiva esistenza, né alla regola generale per cui tale esistenza, proprio in quanto fatto costitutivo dell’azionato diritto di credito risarcitorio, deve essere allegata e provata dal danneggiato.
Motivazione insufficiente e violazione dei principi giurisprudenziali
Pertanto, la domanda di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. non può trovare accoglimento tutte le volte in cui la parte istante non abbia assolto all’onere di allegare (almeno) gli elementi di fatto necessari alla liquidazione, pur equitativa, del danno lamentato.
Oltre a ciò la Cassazione chiarisce che l’agire in giudizio per far valere una pretesa che si riveli infondata non è condotta in sé rimproverabile (Cass. 31/10/201, n. 22120, Cass. 30/12/2014, n. 27534, Cass. 30/11/2012 n. 21570). È l’agire in sé che abbia provocato un anno ingiusto a essere dirimente.
La CTR non si è attenuta a questi principi ed ha reso motivazione fondata su argomentazioni inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del suo convincimento.
Cassazione accoglie il ricorso e rinvia alla CTR Lazio
In primo luogo, ha liquidato il danno nella somma di 50.000 euro facendo riferimento al fatto che la contribuente era stata “tenuta in bilico tra svariate ed alterne vicende processuali per le medesime iscrizioni tributarie” ed in ragione dei “nocumenti correlati all’essere coinvolti per un rilevante lasso di tempo”, ritenuto superiore ai quindici anni, atteso che la prima cartella era stata notificata nel 2005. Invece, avrebbe dovuto attenersi al danno procurato in ragione di quello specifico processo nel quale era chiamata a giudicare, che aveva ad oggetto un’intimazione di pagamento, e che era iniziato nel 2015.
In secondo luogo, ha ravvisato il danno nel fatto che la contribuente fosse stata indotta ad accedere alla c.d. rottamazione-ter per una cartella di importo superiore ai 37.000 euro, molti anni dopo che la medesima era stata annullata, apparentemente ragguagliandolo, ma senza spiegarne le ragioni, all’importo della cartella e non alle somme effettivamente corrisposte.
Per tali ragioni il ricorso viene accolto con rinvio alla CTR del Lazio.
Avv. Emanuela Foligno