Continuiamo a seguire un caso di malpractice medica già trattato sulle colonne di questo quotidiano nel novembre dello scorso anno. Stavolta diamo conto della risposta del ctu alle note critiche presentategli

In considerazione della mia esperienza potrei affermare: lo sapevo!

Mi sto riferendo alla risposta del ctu alle mie note critiche che avevo già pubblicato l’8 febbraio scorso su queste pagine e che riprendevano un precedente articolo del 9 novembre, dove pubblicavo la mia perizia e le note ex art. 194 cpc inviate al CTU dopo la seduta peritale.

Come potete leggere aprendo l’allegato, la risposta alle note critiche (che poi non sono così generiche come il ctu afferma) data dal CTU non dice veramente nulla di concreto, ribadisce quanto affermato nella bozza, non qualifica bene i fatti, non dice quante sono in percentuale le chance perse. Insomma: è una relazione definitiva che, come la bozza, serve a poco, specie agli attori.

Chiacchiere senza senso che, per altro, non si comprendono in alcune parti. Parla tanto di comorbilità senza attribuire loro un peso specifico in termini di efficienza a procurare la morte. E’ come dire che la signora doveva morire perché portatrice di Morbo di Addison.

Si tratta di un medico legale che afferma che una diagnosi di morte per “melena e arresto cardiocircolatorio” sia congrua e che continua a giustificare la “non” necessità del riscontro diagnostico.

Nello specifico ha anche confuso a riguardo della necessità di trasfondere la paziente. Non abbiamo mai detto questo, abbiamo solo affermato che non bisognava dimettere la paziente e ricercare la causa della perdita lenta di HB. Sceglie una delle alternative (solo ipotetiche) da noi proposte per “giustificare” l’aumento di HB di 3.6 gr. i un giorno senza motivare nulla, anzi, contraddicendosi sul concetto di insufficienza respiratoria.

Difende i medici del primo ricovero per la non esecuzione di una gastroscopia in quanto la paziente era verosimilmente fragile per subirla (altra mera ipotesi difensiva) e afferma che non si ha certezza della emorragia digestiva massiccia e dunque che non si può avere contezza della causa di morte certa visto che non c’è il riscontro diagnostico. Insomma tutto e il contrario di tutto!

Ma il CTU ricorda che l’onere della prova è a carico di parte convenuta e sua in questo suo scomodo ruolo?

Dunque, individua una responsabilità dei sanitari (inadeguata terapia cortisonica) e dice che la sig.ra ha perso chance di sopravvivenza senza entrare nel merito sulle possibilità di sopravvivere o quantomeno di vivere più a lungo.

Insomma, la medicina legale è scienza delle evidenze o chiacchiere al vento?

L’omissione è una colpa o no? Una errata cura è di per sé un danno evento colposo? Bisogna discernere sempre e chiaramente sugli effetti di un errore sulle sorti di un paziente? Ma in che modo?

I medici legali lo sanno e anche bene, o no?

Dr. Carmelo Galipò

Scarica il Pdf:

Risposta del ctu alle note critiche

Assistenza Medico Legale
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