I giudici della Cassazione hanno accolto la richiesta dei figli della vittima di un incidente stradale, al risarcimento del danno corrispondente alla loro sofferenza interna e al peggioramento delle abitudini di vita quotidiana

La vicenda

I congiunti della vittima di un incidente stradale avevano citato in giudizio, il responsabile del sinistro e la sua assicurazione, al fine di conseguire il ristoro dei danni derivati all’interno del nucleo familiare, a causa di tale evento.
La vittima aveva dichiarato di essere stato travolto dall’autovettura condotta dal convenuto, il quale nell’eseguire una manovra di conversione a sinistra, ometteva di dargli la precedenza, mentre stava sopraggiungendo a bordo del suo ciclomotore, nell’opposto senso di marcia.
Nel corso del giudizio di primo grado, interveniva volontariamente l’INAIL, rilevando di aver erogato, a favore dei ricorrenti, le prestazioni di legge, essendo l’infortunio avvenuto “in itinere” .

Il processo di merito

Il Tribunale di primo grado, aveva ritenuto il danneggiante responsabile al 70% nella causazione del sinistro e perciò aveva riconosciuto alla vittima, un danno biologico permanente del 67% che liquidava secondo le tabelle milanesi, operandone una personalizzazione nella misura del 25% e una ulteriore del 30%, ai sensi dell’art. 138 cod. assicurazioni, e ciò per l’accertata rilevante incidenza delle gravi lesioni sugli aspetti dinamico-relazionali personali.
Il Tribunale gli aveva riconosciuto anche il danno patrimoniale per perdita delle indennità specifiche connesse alla mansione di infermiere di corsia, precedentemente svolte, nonché di quello derivante per le spese di acquisito di un’autovettura nuova con comandi speciali e, per le prestazioni mediche eseguite, liquidando complessivamente, un danno differenziale pari a 559.149 euro, detratto già quanto erogato dall’INAIL.
Alla moglie era, invece, stato riconosciuto il danno retributivo e pensionistico nella somma di 627.000 euro circa, posto che la stessa, a causa del grave infortunio riportato dal marito, era stata costretta a trasformare il proprio rapporto di lavoro da “full time” a “part time”, in ragione della necessità di attendere alla gestione della propria famiglia composta da tre figli.
Alla medesima e ai figli, era stato inoltre, liquidato il danno non patrimoniale, stimato rispettivamente nella misura di 21.043 euro alla prima e 10.000 euro, per ciascuno dei figli.
Tuttavia, all’esito del giudizio d’appello, proposto dalle parti soccombenti, la corte territoriale, escludeva l’aumento del 30% del danno biologico liquidato dal giudice di primo grado, negando l’applicazione dell’art. 138 cod. assicurazione e, comunque ritenendo già esaustiva la personalizzazione del 25%.
Disconosceva, inoltre, sulla voce del danno patrimoniale quella relativa alle perdite delle indennità speciali tipiche delle mansioni di infermiere di corsia. Rideterminava l’ammontare del danno patrimoniale in 10.000 euro, mentre escludeva tale voce di danno per i figli minori, sul presupposto che le menomazioni subite dal genitore non avessero determinato la compromissione della relazione dello stesso intrattenuta con i figli.

Il punto è stato oggetto, tra gli altri, di pronuncia della Cassazione.

In via preliminare i giudici della Suprema Corte hanno ribadito che “in presenza di un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei dalla determinazione del gradi percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé la paura, la disperazione)”, perciò, “ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l’esistenza d’uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetti di separata valutazione e liquidazione”.
Il presupposto di tale affermazione è la constatazione che “la lesione della salute risarcibile” si indentifica “nella compromissione delle abilità della vittima nello svolgimento delle attività quotidiane tutte, nessuna esclusa: dal fare, all’essere, all’apparire; sicché, lungi dal potersi affermare “che il danno alla salute comprenda il pregiudizio dinamico-relazionali” dovrà dirsi “piuttosto che il danno alla salute è un danno dinamico relazionale”, giacché, se “non avesse conseguenze dinamico relazionali, la lesione alla salute non sarebbe nemmeno un danno medico legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.
Ne deriva che “l’incidenza d’una menomazione permanente sulle quotidiane attività «dinamico-relazionali» della vittima non è affatto un danno diverso dal danno biologico, restando, però, inteso che, in presenza di una lesione alla salute, potranno sì aversi le “conseguenze dannose più diverse ma tutte inquadrabili in due gruppi, cioè: a) conseguenze necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare tipo di invalidità; b) conseguenze peculiari del caso concreto, che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto a casi consimili”.
Ebbene, entrambe costituiscono un danno non patrimoniale, ma se la liquidazione del primo presuppone la mera dimostrazione dell’esistenza dell’invalidità; la liquidazione delle seconde esige la priva concreta dell’effettivo (e maggiore) pregiudizio sofferto.
Anche la perduta possibilità di continuare a svolgere qualsiasi attività, in conseguenza di una lesione alla salute, non sfugge a questo schema e pertanto o è una conseguenza “normale” e allora si terrà per pagata con la liquidazione del danno biologico; o è una conseguenza peculiare e allora, dovrà essere risarcita, adeguatamente, aumentando la stima del danno biologico, attraverso la sua “personalizzazione”.
Sul punto, i giudici della Cassazione hanno ritenuto corretta le decisioni della corte di merito di escludere la doppia personalizzazione del danno biologico, già aumentata del 25%.

Il danno futuro

A causa del grave incidente, il danneggiato era stato costretto ad abbandonare l’attività di infermiere di corsia, precedentemente svolta.
Ebbene, la Cassazione ha più volte ribadito che “chi causa un danno futuro è in mora dal giorno del fatto illecito, ai sensi dell’art. 1219 c.c, per il pagamento del relativo risarcimento; tale mora andrà calcolata sul credito risarcitorio scontato e reso attuale, ma andrà pur sempre calcolata con decorrenza dalla data dell’illecito.
Si tratta di un credito di valore come tale soggetto a “cumulo” di rivalutazione ed interessi che dovranno essere calcolati con rivalutazione annua sino alla data della decisione.
Ed invero, ai fini di “un integrale risarcimento del danno conseguente al fatto illecito sono dovuti sia la rivalutazione della somma liquidata ai valori attuali, al fine di rendere effettiva la reintegrazione patrimoniale del danneggiato, che deve essere adeguata al mutato valore del denaro nel momento in cui è emanata la pronuncia giudiziale, sia gli interessi compensativi sulla predetta somma, che sono rivolti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell’equivalente pecuniario del danno subito.”

Il danno non patrimoniale ai figli della vittima

La corte d’appello, all’esito del giudizio di secondo grado aveva escluso l’ulteriore pregiudizio subito dai figli della vittima, affermando che essi non avrebbero “subito alcun pregiudizio relazionale nel rapporto con il padre, giacché costui “seppure con modalità diverse, avrebbe continuato ad interagire e a condividere con loro le attività scolastiche ed extrascolastiche, oltre a quelle più prettamente famigliari”.
Ma per i giudici della Cassazione, tale affermazione non è corretta. Ed in effetti, essa trascurava di dare spazio al riconoscimento del danno non patrimoniale visto nella sua dimensione di “sofferenza interna”.
Del resto, la stessa giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che: “in tema di risarcimento del danno ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta a costoro anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva della vittima”. A tal proposito, il giudice di merito deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l’aspetto interiore del danno (danno morale), quanto il suo impatto modificativo in pejus con la vita quotidiana (danno esistenziale), atteso che in questo caso, oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto.
Ebbene tale accertamento, la corte di merito l’aveva completamente omesso, concentrandosi sugli aspetti dinamico-relazionali del più ampio pregiudizio non patrimoniale lamentato dai figli della vittima.
Per tali motivi, la sentenza impugnata è stata parzialmente cassata con rinvio alla corte territoriale per un nuovo esame di merito.

La redazione giuridica

 
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