Una sentenza di condanna a carico dell’imputato pronunciata dal GUP di Milano senza la previa discussione delle parti e senza la lettura del dispositivo: per i giudici della Cassazione è inesistente

La vicenda

Nel settembre 2018, il GUP del Tribunale di Milano condannava, all’esito di rito abbreviato, un uomo accusato di violenze sessuali, alla pena di 4 anni e 4 mesi di reclusione.
Nell’ottobre dello stesso anno, la sentenza veniva dichiarata irrevocabile.
Nel frattempo, avverso la sentenza del GUP meneghino, l’imputato presentava ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, l’abnormità del provvedimento impugnato, in quanto adottato in assenza di potere e in violazione del principio di difesa costituzionalmente tutelato ai sensi dell’art. 24 Cost.
Al riguardo, rilevava la difesa, che il ricorrente era stato condannato in mancanza di un processo, posto che, all’udienza del 12 settembre 2018, ammessa la costituzione di parte civile della persona offesa, la difesa aveva chiesto la definizione del processo nelle forme del rito abbreviato condizionato all’acquisizione di ulteriori prove a discarico, cui seguiva il rinvio del GUP all’udienza al 19 dicembre 2018 per la discussione.

La sentenza di condanna a insaputa delle parti

Nel frattempo, il 19 novembre 2018, il difensore apprendeva che il suo assistito era stato condotto in carcere, perché il titolo era divenuto definitivo.
Solo così il difensore verificava che in realtà, all’esito dell’udienza del 12 settembre 2018, nonostante il rinvio e l’assenza di conclusioni delle parti, era stata emessa sentenza di condanna nei confronti dell’imputato, di cui le parti, non solo il difensore dell’imputato, ma anche il P.M. e il difensore della parte civile, non avevano avuto notizia, per cui tale sentenza costituiva un atto abnorme.
Il ricorso è fondato”, è quello che si legge nella sentenza pronunciata dai giudici della Suprema Corte di Cassazione.
Non vi era dubbio che la sentenza di condanna era stata emessa dal GUP al di fuori dello schema procedimentale delineato dagli art. 438 c.p.p. e ss., posto che la decisione era stata assunta senza che le parti avessero rassegnato le conclusioni, avendo addirittura l’udienza preliminare, subito un rinvio interlocutorio ad altra data fissa.
In definitiva, più che di un atto abnorme, doveva parlarsi nel caso di specie, di un atto addirittura inesistente, in quanto la sentenza era stata pronunciata per effetto di una iniziativa autonoma del giudice, sganciata da ogni contesto processuale.

Una sentenza inesistente

Al riguardo, la giurisprudenza ha più volte affermato che nonostante la categoria giuridica dell’inesistenza non sia prevista espressamente da alcuna norma del codice di rito, essa, come precisato anche da autorevole dottrina, è immanente al sistema, servendo a coprire tutta quell’area di vizi non rientranti nelle ipotesi di nullità, ma che sono talmente gravi da impedire all’atto di sorgere in quanto, mancando degli elementi costitutivi ed identificativi suoi propri, lo rendono inidoneo a produrre alcun effetto giuridico.
In altri termini, la differenza fra atto nullo e atto inesistente è quasi di natura ontologica, nel senso che, mentre il primo, pur affetto da patologia, è conforme alla tipologia voluta dal legislatore ed è ben identificabile, possedendo gli elementi costitutivi previsti dalla normativa di riferimento, al contrario, l’atto inesistente è estraneo al sistema giuridico, essendo affetto da patologie talmente gravi da farlo risultare privo di una sua fisionomia, con la conseguenza che tale categoria di vizi, oltre a essere rilevabile anche d’ufficio, non è suscettibile di essere sanata dal giudicato.
Per tali motivi la sentenza impugnata è stata ritenuta inesistente, in quanto emessa senza la previa discussione delle parti e senza la lettura del dispositivo, anche perché apparentemente adottata in un’udienza che, dopo alcune attività interlocutorie, si era formalmente conclusa con un rinvio ad altra data, rinvio di cui erano state già edotte le parti.

La redazione giuridica

 
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