Anche in tempi di pandemia, il lavoratore affetto da gravi patologie, ha diritto a vedersi riconosciuto l’acceso al lavoro agile. La mancata applicazione della priorità garantita per legge, come anche l’imposizione delle ferie fuori dalla cadenza annuale, possono costituire comportamento discriminatorio risarcibile.

L’emergenza sanitaria globale che stiamo vivendo ha normalizzato e reso indispensabile il lavoro a distanza, vuoi nella forma del telelavoro o del più moderno lavoro agile; si tratta ormai della modalità normale di espletamento della prestazione oggetto del contratto di lavoro.

Con sentenza emessa a conclusione di un procedimento d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c. il Giudice del Lavoro di Grosseto nella sentenza che qui si commenta (23.4.2020 n. 502) accoglie il ricorso del lavoratore che aveva lamentato come ingiustificato il rifiuto del proprio datore di lavoro di adibirlo a lavoro agile, al pari di tutti gli altri occupati nel medesimo comparto.

Consta dalla pronuncia in commento che il rifiuto fosse stato opposto per trovarsi il ricorrente già in malattia, per una pregressa patologia invalidante riconosciuta con IC pari al 60%, all’inizio della fase emergenziale che ha portato al lockdown della stragrande maggioranza delle attività produttive sul territorio nazionale.

Infatti come confermato anche da altra pronuncia in pari data del Tribunale di Bologna, l’art. 39 del d.l. n. 18/2020 prevede che nel periodo dell’emergenza Covid-19 i lavoratori in condizione di disabilità abbiano diritto a svolgere la prestazione in modalità agile, ove compatibile con le caratteristiche della prestazione.

Il Tribunale giunge a disistimare la posizione della società resistente che a quanto consta aveva basato il proprio rifiuto sui conseguenti costi di approntamento della postazione di lavoro, a fronte di una misura già adottata nei confronti dei colleghi dell’odierno ricorrente in via d’urgenza.

Argomenta la sentenza in commento, in base proprio alla normativa emergenziale emanata nell’ultimo bimestre (marzo-aprile 2020) che prevede, ed anzi incoraggia, il ricorso al lavoro agile quando il datore di lavoro abbia dato prova di poterlo applicare per garantire la propria operatività, coniugando la salvaguardia dell’attività lavorativa con le esigenze di tutela della salute e di contenimento dell’epidemia, garantendo priorità ai lavoratori affetti da gravi patologie; risulta pertanto inaccettabile l’imporre al lavoratore invalido di attingere ulteriormente al proprio monte ferie godendo in forma anticipata di un periodo non ancora maturato, ciò perché il ricorso alle ferie non può essere indiscriminato, ingiustificato e penalizzante, anche avendo presente la particolare rilevanza che i periodi di riposo hanno, o possono avere, per i lavoratori affetti da patologie invalidanti pregresse.

E’ difatti evidente come tanto la dottrina come la giurisprudenza prevalenti considerino lo Smart Working, o lavoro agile, come uno degli strumenti di maggior impatto per l’integrazione lavorativa delle persone con disabilità ed un intervento concreto, per quanto non ancora risolutivo, sull’investimento in capitale umano garantendo il concreto mainstreaming nelle politiche ordinarie del lavoro, delle esigenze delle persone con disabilità, per arrivare ad una modernizzazione della protezione sociale.

La principale dottrina infatti qualifica il ricorso a questa tipologia di lavoro, come particolarmente rilevante per quei soggetti che abbiano specifiche e comprovate esigenze di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, vuoi per questioni connesse alla logistica che per favorire l’accesso a trattamenti e terapie medico riabilitative.

Si tratta in buona sostanza della principale forma di accomodamento ragionevole su cui al momento, pur con tutte le contraddizioni di cui si è già detto in altra sede, sia dato ragionare, poiché è infatti noto ed evidente che la tecnologia possa essere uno strumento formidabile di promozione, inclusione e tutela, sebbene sia auspicabile non rimanga l’unico.

Si ritiene che la suddetta valorizzazione di cui sopra sia ancora più importante in una situazione come quella in atto ed è davvero inaccettabile vedere come uno strumento che dovrebbe essere un assoluto facilitatore si trasformi in strumento di discriminazione, in un momento di assoluta crisi.

In termini generali, peraltro a qualificazione come adattamento ragionevole [1] comporta che, come nella fattispecie concreta oggetto di giudizio, qualora lo smart working possa essere la misura ragionevole e sostenibile per integrare e tutelare il lavoratore con disabilità ed il datore di lavoro si rifiutasse di adottarla, questi potrebbe commettere una discriminazione, con tutte le conseguenze in termini di risarcimento dei danni anche non patrimoniali; si tratta di un argomento del quale la sentenza in commento non si occupa, forse anche in ragione dello strumento processuale utilizzato, ma che può avere sviluppi interessanti nel campo delle politiche sociali e del lavoro.

Ciò che la sentenza in commento ci dice senza dirlo è che si sta compiendo il passaggio che qualifica lo smart working come un diritto del lavoratore, che può essere negato solo per serie e motivate ragioni e che costituisce un cambio di epoca nel processo di aggiornamento delle culture organizzative; processo cui dovrebbe conformarsi per prima ed in maniera radicale la PA. Ed è forse un modo per pensare che anche i periodi bui e di crisi possano avere dei risvolti positivi in grado di far progredire la società nel suo complesso, con ogni probabilità sulla base di una normativa snella fondata su pochi fondamentali principi in grado comunque di garantire accesso a questa forma di espletamento della prestazione lavorativa, rimandando per i dettagli alle contrattazioni collettive su cui la discussione è aperta all’indomani del Decreto Rilancio.

Avv. Silvia Assennato


[1] I vantaggi dell’adozione degli adattamenti ragionevoli sono noti ma si sottolinea come essi comportino benefici diretti e indiretti vuoi nella maggiore produttività individuale del lavoratore come nella maggiore e più facile interazione con i colleghi e con i gruppi di lavoro, con correlativo aumento della produttività generale e in termini di benessere psicolavorativo.

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