Respinto di ricorso di un uomo accusato del reato di sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa

Per la punibilità del reato previsto dall’art. 334, comma secondo, del codice penale – in tema di sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa – è richiesto il dolo generico, consistente nella consapevolezza del vincolo giudiziario che grava sul bene e nella volontà di compiere atti contrari ai doveri di custodia, in modo tale da impedire i controlli sul bene o l’esercizio dell’azione esecutiva.

Lo ha chiarito la Suprema Corte con l’ordinanza n. 15169/2020 pronunciandosi sul ricorso di un uomo condannato a tre mesi e 15 giorni di reclusione, oltre a 100 euro di multa, per la sottrazione, in violazione del vincolo apposto sul bene, di due capi di bestiame di cui era stato nominato custode, attraverso la vendita e la consegna ad un allevatore, terzo acquirente in buona fede.

L’imputato richiedeva l’assoluzione perché il fatto non sussiste o non costituisce reato, ma dal Palazzaccio hanno ritenuto di respingere le sue argomentazioni in quanto infondate.

Per la Cassazione, i giudici di merito avevano dunque utilizzato corrette regole di giudizio. “In presenza della compiuta disamina delle medesime censure devolute ai giudici di appello – chiariscono da Piazza Cavour –  la richiesta al giudice di legittimità di un’alternativa ricostruzione di merito dei fatti o diversa prospettazione di inquadramento giuridico, è inammissibile, nemmeno degradandola a condotta meramente negligente rispetto ai doveri di custodia, sulla consapevole volontà di sottrarre gli animali al disposto sequestro preventivo, tesi alternativa già sottoposta alla Corte d’appello e respinta: aspetto, quest’ultimo, non riprodotto in ricorso, sostenendosi la tesi della mancanza radicale degli elementi costitutivi del reato e dunque della mancata integrazione della fattispecie incriminatrice addebitata al ricorrente”.

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