Respinto il ricorso di un uomo, condannato per lesioni personali gravi dopo una colluttazione, che invocava la scriminante di cui all’art. 52 cod. pen.

Secondo l’accusa, aveva colpito con calci e pugni un uomo cagionandogli varie patologie tra cui la frattura dell’incisivo centrale di sinistra e la frattura delle ossa nasali, con conseguente indebolimento permanente degli organi della masticazione e della respirazione. I Giudici di merito avevano ritenuto di condannare l’imputato per il reato di lesioni personali gravi.

La sentenza della Corte di appello veniva impugnata davanti alla Suprema Corte di Cassazione con un unico motivo in cui si denunciava violazione di legge e vizio di motivazione.

Il ricorrente, infatti, evidenziava uno scollamento argomentativo tra la sentenza di primo grado e quella di appello. Nello specifico, il Tribunale, aveva accolto la versione dei fatti della persona offesa sulla base del rilievo che le dichiarazioni dell’imputato di essersi recato al Pronto soccorso subito dopo il fatto non avrebbero trovato riscontro documentale. Anzi, la sua versione sarebbe stata confutata dall’osservazione diretta dei carabinieri che, giunti sul posto, avevano “avvistato” l’imputato mentre “praticamente illeso” si stava allontanando dal luogo del fatto.

La Corte di appello, invece, aveva preso atto dell’esistenza di un certificato medico attestante le lesioni riportate dall’imputato a seguito della colluttazione con la persona offesa, escludendo, tuttavia, che quel documento fosse stato considerato rilevante dal giudice di primo grado.

Inoltre, il Giudice di secondo grado – a detta del ricorrente – aveva erroneamente ritenuto che l’imputato avesse messo in dubbio le dichiarazioni dei carabinieri, quando invece quest’ultimo si sarebbe limitato a evidenziare che avrebbe dovuto essere attribuita scarsa capacità dimostrativa alle “impressioni” dei militari sullo stato di salute dell’imputato, valutato a distanza ed in ora notturna.

Mancanze argomentative, dunque, che si riverberavano da un lato sulla configurabilità della esimente della legittima difesa, non potendosi escludere che sia stata la persona offesa ad aggredire l’imputato, dall’altro sulla derubricazione del fatto dalla fattispecie di lesioni personali gravi a quella di lesioni colpose conseguenti al tentativo dell’imputato di divincolarsi.

La Corte di Cassazione, tuttavia, con la sentenza n. 23/2020 ha ritenuto il ricorso inammissibile.

Per i Giudici Ermellini l’accertamento giudiziale riposa, in maniera sostanzialmente incontestata, sulla convergenza tra l’azione dell’imputato, come riferita dalla persona offesa, gli esiti riscontrati dai sanitari nella immediatezza del fatto (“frattura dell’incisivo centrale di sinistra e la frattura delle ossa nasali”); le ammissioni dell’imputato che non aveva contestato di aver cagionato quelle lesioni alla parte lesa, limitandosi ad affermare di essere stato aggredito, di aver subito anch’egli delle lesioni e di aver agito solo per difendersi o, comunque, senza coscienza e volontà.

Quanto alla questione sollevata dal ricorrente sul mancato riconoscimento della legittima difesa o della fattispecie colposa, per la Suprema Corte le considerazioni esposte dal ricorrente sono irrilevanti.

Non è infatti significativo – chiariscono dal Palazzaccio – chi abbia assunto l’iniziativa dello scontro, né rileva la circostanza che le lesioni siano reciproche.

Il dato di fatto, con cui il ricorrente non si misura, è che dopo un primo alterco all’interno del bar, causato dalla petulanza della vittima, cui l’imputato, infastidito aveva reagito, i due contendenti, d’accordo tra loro, erano usciti dal locale, avevano svoltato l’angolo ed erano venuti nuovamente alle mani.

Per la giurisprudenza di legittimità, in tale situazione, con due persone che accettano lo scontro fisico, non possono mai ravvisarsi i presupposti della legittima difesa che sono costituiti da un’aggressione ingiusta e da una reazione legittima: la prima deve concretarsi in un pericolo attuale di un’offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione del diritto; la seconda deve inerire alla necessità di difendersi, alla inevitabilità del pericolo ed alla proporzione tra difesa ed offesa.

Al riguardo la Corte distrettuale aveva correttamente rilevato che l’imputato, avendo cagionato le lesioni alla persona offesa “nel deliberato intento di partecipare a una colluttazione”, non poteva invocare la scriminante di cui all’art. 52 cod. pen. “avendo concorso a dare causa al contesto nel quale è maturato il suo comportamento delittuoso” e che su tali accertate basi fattuali, non può configurarsi “un elemento psicologico diverso dal dolo”.

In relazione alla contestazione della prova testimoniale fornita dai Carabinieri intervenuti sul luogo nella immediatezza del fatto, inoltre, la Corte distrettuale aveva correttamente osservato che i militari “non si limitarono ad una osservazione superficiale in lontananza e fecero un vero e proprio intervento” riscontrando da un lato l’evidenza e la gravità delle lesioni patite dalla persona offesa e dall’altro l’assenza di esiti lesivi manifesti sulla persona dell’imputato.

La redazione giuridica

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