In caso di licenziamento deve essere riconosciuto al lavoratore il diritto all’erogazione in un’unica soluzione dell’indennità di mobilità in via anticipata

Il licenziamento e la domanda di mobilità

Il ricorrente, licenziato e messo in mobilità per ventiquattro mesi, aveva domandato all’Inps la corresponsione anticipata dell’indennità di mobilità ai sensi dell’art. 7, comma 5, della legge n.223 del 1991. La domanda veniva accolta limitatamente alla liquidazione corrispondente a quattro mesi in quanto secondo l’Inps il finanziamento era stato disposto di anno in anno e, quindi, l’anticipazione non poteva essere concessa oltre l’anno finanziario di riferimento. Il giudice del lavoro del Tribunale di Pinerolo, adito su istanza del lavoratore, accoglieva la domanda attorea, ritenendo sussistente il diritto di quest’ultimo ad ottenere la corresponsione dell’intera indennità di mobilità dopo il licenziamento.

Nello stesso senso si pronunciava anche la Corte d’appello di Torino che confermava la decisione, sul presupposto che l’erogazione in un’unica soluzione dell’indennità di mobilità in via anticipata sarebbe funzionale alla natura di contributo finanziario che la legge riconosce alla stessa nell’ottica di incentivare i lavoratori in mobilità ad iniziare attività di lavoro autonomo o in cooperativa.

Il giudizio di legittimità

Sulla vicenda, da ultimo, si sono pronunciati giudici della Sezione Lavoro della Cassazione (sentenza n. 7470/2020) che hanno definitivamente rigettato il ricorso dell’Inps, alla luce del principio di diritto più volte affermato secondo cui: “Poiché l’art. 7, comma quinto, legge 23 luglio 1991, n. 223, consente ai lavoratori, in caso di licenziamento e di messa in mobilità di richiedere la corresponsione anticipata della indennità di mobilità al fine di intraprendere un’attività autonoma o di associarsi in cooperativa, in conformità alle norme vigenti, e poiché la erogazione in unica soluzione ed in via anticipata di più ratei della indennità di mobilità determina il mutamento della natura dell’indennità stessa, la quale non è più funzionale al sostegno dello stato di bisogno che nasce dalla disoccupazione, ma assume la natura di contributo finanziario, destinato a sopperire alle spese iniziali di un’attività che il lavoratore in mobilità svolge in proprio e ad indirizzare i lavoratori disoccupati nel settore delle attività autonome e delle cooperative, l’erogazione anticipata dell’indennità può essere richiesta anche per intraprendere un’attività di natura imprenditoriale, senza sottoposizioni a limiti o a condizioni non previsti dal citato art. 7, comma quinto”.

“Del resto, nel ribadire che la previsione dell’art. 7 della legge n. 223/1991 risponde alla “ratio” di agevolare l’inserimento nel lavoro dei lavoratori collocati in mobilità, così perdendo la sua connotazione di tipica prestazione di sicurezza sociale, e configurandosi non già come funzionale a sopperire ad uno stato di bisogno, ma come un contributo finanziario, destinato a sopperire alle spese iniziali di un’attività che il lavoratore in mobilità svolge in proprio, la Suprema Corte ha anche precisato che l’indennità non deve necessariamente essere richiesta prima dell’inizio dell’attività che si intende esercitare, (non ravvisandosi nella legge una precisa indicazione in tal senso), ma può anche essere richiesta dopo aver intrapreso la suddetta attività autonoma”(Cass. Sez. Lav. n. 9469 del 12.6.2003).

La ratio della disposizione di legge

Ed inoltre, nel confermarsi che la “ratio” sottesa alla citata disposizione di legge è quella di indirizzare il più possibile il disoccupato in mobilità verso attività autonome, al fine precipuo di ridurre la pressione sul mercato del lavoro subordinato ed acquistando in tal senso la connotazione di contributo finanziario, si è anche chiarito che, in ipotesi di temporanea intervenuta rioccupazione del beneficiario quale lavoratore subordinato durante i ventiquattro mesi successivi all’erogazione dell’anticipazione, le somme percepite dal medesimo lavoratore devono essere restituite per intero e non solo in proporzione alla durata di tale rioccupazione (v. in tal senso Cass. Sez. Lav. n. 12746 del 20.5.2010).

Ancor più di recente, la Cassazione (Cass. Sez. Lav. – Ordinanza n. 9023 dell’1.4.2019) ha aggiunto che “In tema di indennità di mobilità, l’estensione a favore dei dipendenti di imprese commerciali con meno di 200 e più di 50 dipendenti, prevista dall’art. 7, comma 7, del D.L. n. 148 del 1993, conv. con modif. dalla L. n. 236 del 1993, e successive proroghe, opera anche per la corresponsione anticipata di cui all’art. 7, comma 5, della L. n. 223 del 1991, in riferimento all’integrale importo spettante e non limitatamente all’anno in cui è stata concessa, senza che rilevi la cancellazione dalle liste di mobilità per effetto dell’esercizio dell’opzione, atteso che il diritto al trattamento matura prima della cancellazione, anche in caso di pagamento dell’inadennità in un’unica soluzione ed in via anticipata”.

La decisione

Di tali principi di diritto aveva fatto corretta applicazione la corte territoriale, perciò la sentenza impugnata è stata definitivamente confermata, con conseguente condanna dell’Inps al pagamento delle spese processuali.

La redazione giuridica

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