Anche l’inadempimento contrattuale può determinare un danno morale, affermazione ancor più valida in presenza di una condotta che non si limiti al mero inadempimento, ma che assume una valenza più ampia e tale da integrare reato (Corte di Cassazione, VI penale, sentenza 5 aprile 2024, n. 14028).
La vicenda giudiziaria
Il Tribunale di Palermo condannava l’imputato in ordine al reato di cui agli artt. 110 e 388, comma quinto c.p., disponendo anche la condanna al risarcimento dei danni arrecati alla ditta di Autotrasporti parte civile.
La condanna dell’imputato veniva disposta nonostante fosse stata esclusa la qualità di amministratore di fatto in capo all’imputato dell’omonima società, nel cui ambito era maturato il reato di cui all’art. 388, cp. Il Giudice di primo grado, infatti, riteneva la responsabilità penale dell’Imputato quale concorrente ex art. 110 cp., facendone discendere anche la responsabilità risarcitoria.
La Corte di Appello dichiarava la prescrizione del reato, confermando le statuizioni civili, in relazione al riconoscimento del danno in favore della ditta di autotrasporti.
L’intervento della Cassazione
La ditta di autotrasporti sostiene che i Giudici di merito avrebbero erroneamente valutato il compendio probatorio, avendo immotivatamente ritenuto non attendibili le fonti testimoniali addotte dalla parte civile, omettendo anche di considerare che la moglie dell’imputato – formalmente legale rappresentante della società gestita da quest’ultimo – nella sua deposizione aveva manifestato palesemente di non essere a conoscenza delle vicende societarie.
Una corretta valutazione avrebbe dovuto condurre la Corte di appello a qualificare l’imputato quale amministratore di fatto e riconoscerne la responsabilità civile ex art. 2394 c.c. Deduce, inoltre, che l’esclusione del diritto al risarcimento del danno richiesto iure proprio dal titolare di essa autotrasporti sia errato. Ribadisce, al riguardo, che per effetto della sottrazione al pagamento di quanto dovuto da parte dell’Imputato, si era visto costretto a ricorrere al credito bancario per far fronte alle esigenze societarie, prestando fideiussioni personali. La condotta elusiva dell’imputato, pertanto, avrebbe comportato un danno morale e patrimoniale direttamente ricadente nella sfera personale della parte civile, distinto e ulteriore rispetto al danno patito dalla società di autotrasporti creditrice.
Quest’ultima censura è fondata.
Il danno morale
Il ricorrente sostiene di aver subito un danno morale, diretta conseguenza della commissione del reato, nonché un danno patrimoniale, derivante dal fatto che la condotta elusiva e la conseguente inadempienza dell’imputato aveva determinato una importante carenza di liquidità. Ne era conseguita la necessità di ricorrere al credito bancario, i cui effetti negativi si erano riverberati non solo nei confronti della società, ma anche a carico del suo socio unico.
La motivazione resa dalla Corte di appello al riguardo è del tutto contraddittoria. Da un lato è stato riconosciuto che il ricorrente era socio unico e fideiussore della ditta di autotrasporti, dall’altro è stato escluso che la sottrazione all’adempimento delle obbligazioni vantate dalla predetta società non avrebbero direttamente causato un pregiudizio diverso ed ulteriore rispetto a quello azionato dalla società in proprio.
Gli errori dei giudici di Appello
Erroneamente sono stati sovrapposti i profili dell’an debeatur con quelli del quantum, posto che è stata ritenuta non adeguatamente dimostrata “l’incidenza esatta della condotta fraudolenta dell’odierno imputato sulla situazione complessiva della società”, per poi escludere che la condotta illecita abbia causato un danno risarcibile nei confronti del socio.
Non può ragionevolmente affermarsi che l’unico soggetto ad aver subito un danno sia stata la società di trasporti, posto che la ristretta compagine sociale e la sostanziale identificazione con il socio unico hanno presumibilmente determinato effetti deleteri anche a carico di quest’ultimo.
Anche la giurisprudenza civile riconosce, in astratto, la possibilità che qualora terzi arrechino danno ad una società di capitali, il socio è legittimato a domandare il ristoro del pregiudizio da lui subito ove non risarcibile alla società perché riguardante la sfera personale, o la perdita di opportunità personali, economiche e lavorative dello stesso socio o la riduzione del cd. merito creditizio di quest’ultimo.
A maggior ragione, allora, è ipotizzabile la sussistenza di un danno non patrimoniale nel caso in cui l’elusione dell’adempimento dovuto nei confronti della società sia conseguito alla commissione di un reato, i cui effetti sono ricaduti anche sulla sfera personale del socio.
Quanto sopra trova conferma nel principio secondo cui anche l’inadempimento contrattuale può determinare un danno morale (Cass.civ., Sez.3, n. 21999 del 24/10/2011), affermazione ancor più valida in presenza di una condotta che non si limiti al mero inadempimento, ma che assume una valenza più ampia e tale da integrare reato.
Concludendo, la Corte di appello non ha correttamente distinti il danno subito dalla società e il danno dedotto iure proprio dal suo socio unico, omettendo di considerare i profili differenziali sussistenti tra i due.
Avv. Emanuela Foligno