L’Italia, almeno quella rappresentata dai media, pare il paese delle emergenze. Con tempismo perfetto, fatti di cronaca fra loro simili accadono in successione facendo emergere situazioni che vengono descritte come da terzo mondo.

Ultimi accadimenti drammatici sono quelli registrati in diversi reparti di pronto soccorso italiani, oggi al centro del ciclone per le lunghe attese, le presunte mancanze o negligenze del personale medico, le carenze assistenziali e strutturali. Stante il fastidio che provo nei confronti della generalizzazione al negativo di ciò che riguarda la sanità ho pensato fosse utile, soprattutto ai pazienti, poter approfondire il ruolo del Pronto Soccorso, dei medici che vi lavorano e delle difficoltà che tali reparti creano.

Il medico di Pronto Soccorso, secondo il nostro ordinamento è un pubblico ufficiale, perché esercita poteri di accettazione, certificativi nell’ambito di una prestazione caratterizzante la Pubblica Amministrazione e i Pubblici Servizi. In tale veste,  il medico è posto in un particolare rapporto di responsabilità nei confronti della P.A. per la quale lavora che lo rende passibile di denuncia penale per una serie di reati fra i quali, per ciò che qui interessa, vi sono l’omissione di atti d’ufficio (art. 328 c.p.)  e la interruzione di un pubblico servizio o di un servizio di pubblica necessità (art.331 c.p.).

Nel dettaglio, semplificando per rendere il discorso pienamente fruibile, alla luce di quanto sopra esposto possiamo dire che il medico di Pronto Soccorso è un dipendente pubblico con qualifica di pubblico ufficiale che è obbligato a compiere gli atti propri del suo lavoro sempre e comunque e che non può interrompere la propria prestazione. Ma cosa significa questo nella pratica? Alcune sentenze della Corte di Cassazione possono rendere più chiaro il ruolo del medico di Pronto Soccorso.

Dicono gli Ermellini che è responsabile di omissione di atti di ufficio (quindi penalmente responsabile verso la PA e anche responsabile di eventuali danni causati al paziente) il medico che rifiuti le prestazioni di pronto soccorso o il ricovero in pronto soccorso al paziente che giunge in ospedale presentando condizioni di particolare urgenza per le quali urge porre in essere delle azioni di cura.

Ancora, numerose sono le sentenze in cui il medico è stato ritenuto responsabile anche in assenza di una urgenza oggettiva sulla base del principio secondo il quale lo stesso sanitario sia depositario di un vero e proprio obbligo di impedire un evento dannoso per il paziente. Tale valutazione di responsabilità è tata ritenuta vera non solo quando vi erano urgenze conclamate, ma anche quando l’agire del medico avrebbe potuto ridurre il pericolo di verificarsi di un evento dannoso. Da ultimo, sempre la giurisprudenza, ha ritenuto che tale obbligazione sussista non solo in riferimento alla obiettività delle condizioni fisiche del paziente, ma anche in riferimento alla urgenza soggettiva della richiesta.

Da ultimo ci si deve chiedere cosa accade quando è il paziente a rifiutare la prescrizione di ricovero o di eseguire esami più approfonditi. Ebbene, sempre la Cassazione ha stabilito recentemente che, in caso di rifiuto da parte del paziente, il medico non potrà essere considerato responsabile di omissione di atti di ufficio ma la sua responsabilità in riferimento ad eventuali danni andrà eventualmente ricercata nella omissione o incompleta informazione al paziente che si sia sentito falsamente rassicurato.

Come è facile osservare, da qualsivoglia punto si analizzi la questione, il medico di pronto soccorso ha ben poche scelte. Difficilmente potrà serenamente rifiutare il ricovero o la prestazione, difficilmente potrà esimersi dall’accogliere il paziente, difficilmente, insomma, avrà una scelta alternativa! E’, allora, il caso di analizzare alla luce di queste affermazioni, ciò che accade nei nosocomi attenzionati dai media e dall’opinione pubblica in questi giorni.

Premetto che una vita che si perde è sempre e comunque fonte di dolore e di indignazione, che va sempre mantenuto il massimo rispetto per chi si trova ad affrontare situazioni difficili che appaiono come sintomi di un sistema sanitario poco civile e poco attento rispetto alle istanze di chi allo stesso si rivolge, che se emergeranno chiare responsabilità dovrà essere pagato il corrispondente risarcimento economico e non.

Tuttavia, è altrettanto vero che, se vi è una figura che, non avendo in realtà alcuna libertà di azione, non può essere considerato capro espiatorio… esso è proprio il medico di pronto soccorso. Cosa potrebbe fare, stante quanto detto, il medico di un pronto soccorso che anche sappia che il reparto è pieno, o che non vi sono posti letto, o che non vi sono abbastanza medici a coprire il turno? La risposta è semplice: egli non potrebbe fare nulla se non accettare il paziente e fare tutto il proprio meglio per assisterlo! Non dipende dal sanitario, infatti, l’organizzazione strutturale di un reparto, non da lui la efficienza funzionale dello stesso, non da lui l’adeguatezza in riferimento a macchinari, posti letto, stanze e dotazioni strumentali dell’intero ospedale.

Né, tampoco, è sostenibile un sistema sanitario come quello italiano, dove i medici svolgono turni massacranti e vi sono carenze di organico di decine di migliaia di unità, e nel quale il filtro necessario costituito da medici di base e guardie mediche è spesso assente e dove i pazienti, che potrebbero realmente curarsi ed essere rassicurati in autonomia dai propri medici, decidono di andare in ospedale anche per i sintomi di una influenza o per qualche doloretto in più (facendo sempre e comunque i dovuti distinguo sia per i medici che per i pazienti)

Quando si verificano casi di morti in corsia, di pazienti che assumono di essere stati costretti in corridoio, che si lamentano di aver atteso ore per un analisi o un esame, che si dicono abbandonati dai medici, forse bisognerebbe spostare l’attenzione su chi gli ospedali deve mantenerli in funzione, su chi è responsabile degli adeguamenti strutturali, su chi, insomma, gestisce e dirige economicamente e non la sanità nei nostro Paese e nelle nostre Regioni.

                                                                                                                                             Avv. Gianluca Mari

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