Liquidazione del danno alla salute in presenza di lesioni preesistenti (Cass. civ., sez. VI – 3,  29 novembre 2022, n. 35027).

Liquidazione del danno alla salute per lesioni che aggravano un danno preesistente.

La interessante decisione qui a commento, dando seguito all’orientamento sul punto, sancisce che “non è corretto ridurre i punti percentuali di invalidità relativi alle lesioni preesistenti”, nell’ipotesi in cui il responsabile abbia aggravato postumi permanenti di cui la vittima avrebbe comunque patito.

La danneggiata riportava lesioni a seguito di un intervento di stabilizzazione vertebrale non eseguito correttamente e chiamava in causa la Struttura e il Sanitario.

Con sentenza di primo grado, confermata in appello, a fronte di lesioni permanenti quantificate dalla CTU nella misura del 20%, veniva determinato nella minore misura del 10% lo stato di invalidità riferibile al fatto dannoso, posto che la donna sarebbe stata comunque affetta da una invalidità del 10% per una patologia preesistente all’intervento.

La paziente impugna in Cassazione lamentando l’applicazione dell’art. 1223 c.c. relativamente alla quantificazione del danno differenziale.

La Suprema Corte, dando seguito ai suoi precedenti, ribadisce che “l’apprezzamento delle menomazioni policrone concorrenti in capo al danneggiato rispetto al maggior danno causato dall’illecito va compiuto stimando, prima, in punti percentuali, l’invalidità complessiva, risultante cioè dalla menomazione preesistente sommata a quella causata dall’illecito e poi quella preesistente all’illecito, convertendo entrambe le percentuali in una somma di denaro, ciò fatto, si deve poi procedere a sottrarre dal valore monetario dell’invalidità complessivamente accertata quella corrispondente al grado di invalidità preesistente.”

Pertanto, è errata la decisione di merito che ha quantificato il danno ponendo a base del calcolo tabellare una percentuale invalidante del 10%, pari alla differenza tra quella del 20% effettivamente riscontrata e quella ascrivibile alle menomazioni preesistenti concorrenti, anziché operare la differenza tra la quantificazione tabellare della lesione del 20% e quella della lesione del 10%.

In altre parole: il danno risarcibile non è il grado di invalidità in sé, bensì le funzioni vitali perdute dalla vittima: tali privazioni progrediscono con intensità geometricamente crescente rispetto al crescere dell’invalidità, diversamente dalla misura convenzionale (cioè i punti percentuali) che ovviamente crescono secondo una progressione aritmetica.

Conseguentemente, la somma riconosciuta dalle Tabelle cresce in modo più che proporzionale rispetto alla gravità dei postumi, il che significa che riconoscere una invalidità del 10% dal punto di vista monetario attribuisce al danneggiato una somma inferiore rispetto a riconoscerne una del 20% e sottrarre la somma derivante dall’invalidità pregressa del 10%.

Il ricorso viene accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte di Appello in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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