Il commento è alla sentenza n. 31549 del 6 dicembre 2018 della III Sezione civile della Cassazione, intervenuta in materia di liquidazione del danno da perdita parentale derivante da malattia professionale

La vicenda approda in Cassazione dalla Corte d’Appello di Lecce che condannava una Società, datrice di lavoro, al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore dei congiunti della vittima deceduta per malattia professionale contratta per la continua esposizione alle polveri e alle sostanze tossiche in assenza di mezzi di protezione predisposti dallo stabilimento. In sostanza i congiunti lamentano alla Corte l’insoddisfacente quantificazione, liquidazione e personalizzazione del danno da perdita parentale.
Inoltre si dolgono della incomprensibilità della pronunzia d’Appello circa le valutazioni sulla sofferenza interiore soggettiva di ciascun parente e sui riverberi dinamico-relazionali che la perdita parentale determinava nelle loro esistenze.

Gli Ermellini considerano tali censure infondate.

Rilevano al riguardo che la Corte territoriale ha motivato in maniera legittima e corretta i criteri di personalizzazione e di liquidazione del danno con i quali sono stati liquidati Euro 180.000 in favore della moglie, Euro 195.000,00 ed Euro 205.000,00 in favore dei figli. Il ristoro liquidato ai figli in misura maggiore rispetto al coniuge è stato correttamente motivato argomentando che “l’apporto della figura paterna rappresenta elemento fondamentale per la formazione della personalità dei figli sia nella tenera età che nel periodo travagliato dell’adolescenza “, così pure sono state in maniera adeguata motivate le differenti ripercussioni della perdita del congiunto rispetto allo specifico momento di crescita dei minori.
Sono stati dunque correttamente applicati i principi che la giurisprudenza ha posto sul danno non patrimoniale del quale è stata ribadita la natura unitaria ed onnicomprensiva, con riferimento a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto non suscettibile di valutazione economica.
Ciò che bisogna risarcire al soggetto danneggiato da una perdita parentale è una somma di danaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito sia sotto il profilo della sofferenza interiore, sia sotto il profilo dell’alterazione o modificazione peggiorativa della vita di relazione, considerata in ogni sua forma ed in ogni suo aspetto, senza ulteriori, e non concepibili, frammentazioni nominalistiche.
Anche il danno da perdita parentale deve essere valutato e accertato sotto il duplice aspetto della sofferenza morale e della privazione, diminuzione o modificazione delle attività dinamico-relazionali precedentemente esplicate dal soggetto danneggiato (cfr. Cass. 901/2018 ed ancora prima Cass. SSUU 6572/2006).

Il mancato riconoscimento degli interessi compensativi sul valore della liquidazione

Con il secondo motivo di impugnazione, ritenuto fondato dalla Corte, i ricorrenti lamentano la nullità del procedimento per mancato riconoscimento degli interessi compensativi sul liquidato.
Al riguardo viene ribadito l’ormai consolidato orientamento che “qualora la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata “per equivalente”, con riferimento, cioè, al valore del bene perduto dal danneggiato all’epoca del fatto illecito, e tale valore venga poi espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione intervenuta fino alla data della decisione definitiva (anche se adottata in sede di rinvio), è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del mancato guadagno, che questi provi essergli stato provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma. Tale prova può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l’attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso; in siffatta ultima ipotesi, gli interessi non possono essere calcolati (dalla data dell’illecito) sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti (da stabilirsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio (cfr. Cass. SSUU 1712/1995; Cass. 18480/2006)”.
Ne consegue che nella domanda di risarcimento del danno per fatto illecito è implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento sia degli interessi compensativi sia del danno da svalutazione monetaria.
Con il terzo motivo, anch’esso ritenuto fondato, i ricorrenti lamentano il rigetto della domanda di danno patrimoniale in favore del coniuge.
Sul punto gli Ermellini ribadiscono che i danni patrimoniali futuri sofferti dal coniuge di persona deceduta sono di natura presuntiva e la relativa prova viene considerata raggiunta quando risulti che il defunto avrebbe destinato una parte del proprio reddito alle necessità del coniuge o avrebbe apportato al medesimo utilità economiche anche senza che ne avesse bisogno.

I principi di diritto

La sentenza impugnata viene cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione che dovrà riesaminare la controversia alla luce dei seguenti principi di diritto:
a. “gli interessi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno da fatto illecito hanno fondamento e natura diversi da quelli moratori regolati dall’art. 1224 c.c., in quanto sono rivolti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell’equivalente pecuniario del danno subito, di cui costituiscono, quindi, una necessaria componente, al pari di quella rappresentata dalla somma attribuita a titolo di svalutazione monetaria, la quale non configura il risarcimento di un maggiore e diverso danno, ma soltanto una diversa espressione monetaria di esso (che, per rendere effettiva la reintegrazione patrimoniale del danneggiato, deve essere adeguata al mutato valore del denaro nel momento in cui è emanata la pronuncia giudiziale finale). Ne consegue che nella domanda di risarcimento del danno per fatto illecito è implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento sia degli interessi compensativi sia del danno da svalutazione monetaria – quali componenti indispensabili del risarcimento, tra loro concorrenti attesa la diversità delle rispettive funzioni”.
La prova ad essi relativa può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l’attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso; in siffatta ultima ipotesi, gli interessi non possono essere calcolati (dalla data dell’illecito) sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti (da stabilirsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio;
b. “i danni patrimoniali futuri risarcibili sofferti dal coniuge di persona deceduta a seguito di fatto illecito, ravvisabili nella perdita di quei contributi patrimoniali o di quelle utilità economiche che, sia in relazione ai precetti normativi (artt. 143 e 433 c.c.) che per la pratica di vita improntata a regole etico – sociali di solidarietà e di costume, il defunto avrebbe presumibilmente apportato, assumono l’aspetto del lucro cessante, ed il relativo risarcimento è collegato ad un sistema presuntivo a più incognite, costituite dal futuro rapporto economico tra i coniugi e dal reddito presumibile del defunto, ed in particolare dalla parte di esso che sarebbe stata destinata al coniuge; la prova del danno è raggiunta quando, alla stregua di una valutazione compiuta sulla scorta dei dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, messi in relazione alle circostanze del caso concreto, risulti che il defunto avrebbe destinato una parte del proprio reddito alle necessità del coniuge o avrebbe apportato al medesimo utilità economiche anche senza che ne avesse bisogno”.

Avv. Emanuela Foligno

 
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