Lo statuto della responsabilità del custode

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I recenti chiarimenti di legittimità intervenuti in materia di responsabilità per custodia consentono di affermare che esiste uno “statuto della responsabilità del custode”. Ergo, bisogna fornire la dimostrazione che il danno sia in nesso di derivazione causale con la cosa custodita poiché non si può discorrere di una mera presunzione di colpa in capo al custode.

L’irrilevanza della colpa del custode, quale criterio per risalire al responsabile, non è condizione sufficiente per attribuire alla responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. natura oggettiva.

Il responsabile è colui che non ha impedito il verificarsi del danno

Il responsabile deve essere individuato in colui che ha creato il rischio, o il pericolo, o che non ha impedito il verificarsi del danno, o situazioni assimilabili, ma muovendo dal fatto che egli non viene condannato al risarcimento del danno “perché il fatto che gli viene imputato significhi inottemperanza a un dovere di prevenzione”, bensì perché il danno si è verificato nei termini in cui la norma esige che si verifichi per il sorgere dell’obbligazione. In sostanza, e in altri termini, il riferimento al rischio, al pericolo, all’incapacità del custode di prevenire il danno serve solo per giudicare se si siano concretizzati gli elementi di fatto che integrano, dal punto di vista fenomenologico, il criterio di imputazione dell’obbligazione risarcitoria, tenendo bene a mente, peraltro, che la cosa non ha un rilievo autonomo nella produzione del danno, ma lo assume solo perché custodita.

Quindi, non è sufficiente allegare che l’evento si sia semplicemente verificato in una determinata area, ma bisogna dimostrare che l’evento sia stato concretamente provocato proprio dalla cosa custodita, e non da altre cause.

La sentenza 12760/2024 della Cassazione

Traslando tale ragionamento alla sentenza 12760/2024 della Cassazione (commentata qui), la vittima non ha specificatamente allegato, né dimostrato, la effettiva dinamica della sua caduta e, per tale ragione, correttamente i Giudici di merito hanno ritenuto non provato il nesso di causa.

La conclusione non cambia anche ragionando in punto di inadempimento di obbligazione (contratto atipico di skipass come ipotizzato in via alternativa dalla vittima). L’art. 1218 c.c. non esonera il creditore della prestazione asseritamente non adempiuta dal dimostrare il nesso di causa tra la condotta del debitore e l’inadempimento, fonte del danno di cui chiede il risarcimento.

Nel caso di responsabilità di cui all’art. 1218 c.c., l’inadempimento si sostanzia nel mancato soddisfacimento dell’interesse dedotto in obbligazione, sicché il giudizio di causalità materiale non è praticamente distinguibile da quello relativo all’inadempimento. Ergo a carico del creditore della prestazione grava soltanto l’onere di provare la causalità giuridica, mentre l’inadempimento che “assorbe” la causalità materiale deve essere solo allegato. L’assorbimento menzionato deve intendersi come prova evidenziale dell’esistenza del nesso di causa, giustificata dal fatto che quel nesso, di norma, non è funzionalmente scindibile dall’inadempimento, in quanto quest’ultimo si sostanzia nella lesione dell’interesse del creditore che a sua volta identifica l’evento di danno.

La vittima ben avrebbe potuto dimostrare il nesso di causa attraverso il ricorso alle presunzioni, ma non ha confutato efficacemente sul punto la decisione della Corte di appello.

Avv. Emanuela Foligno

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