Lussazione della mano destra non adeguatamente curata

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Confermata da entrambi i Giudici di merito e dalla Corte di Cassazione la responsabilità dell’Ospedale per la lussazione della mano destra non adeguatamente curata (Cassazione civile sez. III, 26/08/2024, n.23065).

I fatti

Il 9 maggio 2011 al Pronto Soccorso veniva diagnosticata una lussazione interfalangea distale del quinto dito della mano destra, e veniva applicata una stecca con la prescrizione di portarla per 15 giorni, senza però prevedere e/o programmare controlli successivi. La stecca veniva rimossa nei tempi previsti e l’articolazione appariva immediatamente tumefatta, dolente e immobile.

Dopo avere eseguito un esame radiografico in data 13 giugno 2011, emergeva la mancata guarigione essendo rimasto il disallineamento dei capi articolari. Un successivo intervento chirurgico non risanava questa situazione, per cui era rimasta una limitazione funzionale totale del quinto raggio della mano destra.

La vicenda giudiziaria

Il paziente cita davanti al Tribunale di Sassari l’Asl n. 1 di Sassari per ottenerne il risarcimento dei danni asseritamente procurati dal Pronto Soccorso dell’Ospedale di Sassari.

Il Tribunale di Sassari condannava l’ATS a risarcire all’attore i danni nella misura di 12.427 euro, ritenendo che i sanitari del Pronto Soccorso dell’Ospedale avrebbero dovuto eseguire un esame diagnostico più approfondito, che avrebbe potuto evitare la lesione tendinea.

La Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, rigettava il gravame, modificando tuttavia la motivazione quanto all’individuazione della fonte di responsabilità della condotta omissiva dei sanitari, ravvisandola cioè nell’omessa prescrizione al paziente di un ulteriore controllo medico dopo 15 giorni dalla apposizione della stecca e altresì nell’omessa informazione sull’importanza di una ulteriore visita dopo tale periodo, nella quale verosimilmente “i sanitari avrebbero potuto diagnosticare in tempo la lesione, con esiti favorevoli per il paziente”.

Il ricorso in Cassazione

L’ATS si rivolge alla Corte di Cassazione sostenendo che dalle prove sarebbe risultata l’insussistenza di un nesso causale tra la condotta del medico (e quindi dell’ATS) ed il danno lamentato.

La Cassazione, che respinge il ricorso, ritiene che la censura dell’ATS sia, in realtà, pregna di censure di fatto, e non di diritto, allo scopo di ottenere un vero e proprio terzo grado di merito.

Pertanto, seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 viene dato atto, ai sensi dell’articolo 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quella del ricorso, a norma del comma 1-bis della norma citata.

Conclusivamente, la Cassazione dichiara il ricorso inammissibile.

Avv. Emanuela Foligno

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