La Cassazione ha stabilito che deve rimanere in Italia la cittadina albanese, madre single con tre figli minori, che intende assicurare loro una crescita e una istruzione migliore

La vicenda

La corte d’appello di Lecce aveva respinto la richiesta di una cittadina albanese di autorizzazione alla permanenza in Italia, ai sensi dell’art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, giustificata dal grave disagio psico-fisico che ne avrebbero subito i tre figli minori in caso di ordine di rimpatrio verso l’Albania.

Il citato articolo prevede espressamente che “Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni della presente legge. L’autorizzazione è revocata quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificavano il rilascio o per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia”.

Ebbene nel caso in esame, la corte d’appello salentina non aveva ravvisato nella richiesta della donna l’esistenza dei “gravi motivi” idonei a giustificare la permanenza in Italia.

Ma la decisione è stata cassata dai giudici della Suprema Corte.

A detta degli Ermellini, la corte territoriale aveva omesso di compiere una concreta valutazione sulla sussistenza dei “gravi motivi” di disagio psico-fisico dei minori che sarebbero derivati dall’allontanamento.

Ed invero, secondo quanto emerso dall’indagine svolta dai servizi sociali, la madre era l’unico genitore che si occupava dei suoi figli ed era venuta in Italia per dare e ricevere aiuto alla madre, affetta da una forma tumorale curabile nel nostro paese gratuitamente, nonché per poter lavorare, essendo solo a suo carico la cura e il mantenimento dei minori; mentre in Albania la situazione complessiva (mancanza di lavoro, di una abitazione e di figure di riferimento in sua assenza per il lavoro) risultava estremamente gravosa per i minori stessi.

«La ratio dell’art. 31 citato, – hanno chiarito i giudici della Suprema Corte – risiede proprio nella capacità di svolgere un giudizio prognostico relativo ai danni che potrebbero verificarsi nei minori a causa del rimpatrio, mente non è richiesto dal paradigma normativo e dall’elaborazione giurisprudenziale, che il danno o il pericolo di esso sia necessariamente temporaneo e transeunte».

La temporaneità riguarda, perciò, il provvedimento e non il pregiudizio per i minori.

Il ricorso è stato accolto.

In effetti la corte d’appello aveva del tutto omesso l’esame delle condizioni dei minori in caso di rimpatrio, alla luce della mancanza di un casa, della situazione di monogenitorialità e di una figura di supporto per la madre lavoratrice nel Paese di origine.

Ma v’è di più. Secondo la Suprema Corte di Cassazione, l’accertamento che deve svolgere il giudice di merito, al fine di valutare la permanenza dei presupposti per il soggiorno del cittadino straniero, deve essere rivolto alla valutazione del danno attuale o di quello prospettabile alla luce di un giudizio prognostico.

Ebbene, tale accertamento non può essere eluso per il sol fatto di aver accertato l’intento, peraltro del tutto lecito, del genitore che si è trasferito in Italia di voler far crescere e assicurare ai figli una istruzione migliore.

La redazione giuridica

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