Madre immatura e inidonea come figura genitoriale (Cass. civ., sez. I, 10 novembre 2022, n. 33148).
Madre immatura e inidonea: la figlia è adottabile.
La donna impugna per Cassazione la sentenza della Corte d’Appello di Torino che ha confermato quella del Tribunale per i minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta che aveva dichiarato lo stato di adottabilità della figlia minore.
Con il primo motivo si censura la dichiarazione dello stato di adottabilità della minore in mancanza dei presupposti legali per ravvisare l’esistenza di uno stato di abbandono, in senso materiale e morale, non determinato da forza maggiore e non transitorio, violando il diritto della minore ad essere cresciuta ed educata nell’ambito della propria famiglia naturale, nonché dell’art. 30 Cost., che prevede il dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli.
Secondo la ricorrente, la sua storia familiare problematica non sarebbe di per sé sufficiente a fondare il giudizio di madre immatura e inidoneità nello svolgere il ruolo genitoriale.
La Corte d’Appello avrebbe omesso di considerare il positivo precedente percorso comunitario di madre e figlia, così come avrebbe omesso un’attività istruttoria finalizzata ad accertare quali fatti concreti di pregiudizio erano stati posti in essere dalla madre e tali da costituire sul piano morale e materiale indiscutibili prove di abbandono, definitivo non temporaneo o transeunte da giustificare la soluzione estrema dell’interruzione del legame naturale mediante la dichiarazione dello stato di adottabilità della minore.
Assume, inoltre, la ricorrente di essere vittima di un pregiudizio, per essere la valutazione circa la sua inidoneità genitoriale fondato sulla CTU svolta nel corso del giudizio riguardante altra figlia, quella primogenita, nonostante che la decisione assunta sulla base di quella CTU sia stata cassata dalla Suprema Corte in quanto ritenuta inidonea a dimostrare l’abbandono della figlia primogenita e l’assunzione del provvedimento dichiarativo dell’adottabilità.
Così argomentando, secondo la ricorrente, non veniva considerato che, come aveva allegato, l’allontanamento dalla comunità cui era stata inserita dopo la nascita della figlia era non voluto, ma necessitato da esigenze di tutela della figlia minore dai possibili pregiudizi derivanti dal padre biologico.
La censura è inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Con il secondo motivo deduce il mancato esame di punti decisivi, ovvero la mancata valutazione delle condizioni soggettive e oggettive della ricorrente all’epoca dell’apertura della procedura di adottabilità della minore, nonché nell’omessa valutazione della positiva evoluzione del percorso personale intrapreso dalla ricorrente rispetto alla capacità genitoriale e alla sua condizione pregressa e comunque per non aver indagato in concreto in ordine alle conseguenze negative sulla relazione con la figlia, derivanti dalla rescissione del vincolo madre figlia nonché il buon rapporto con il figlio minore terzogenito, e per il quale pende giudizio di appello in relazione alla sentenza di primo grado anch’essa dichiarativa dello stato di adottabilità del minore.
La sentenza dopo avere dato atto del seguito dell’annullamento da parte della Cassazione della prima sentenza della Corte d’appello che dichiarava adottabile la figlia primogenita, ha ricostruito il giudizio di rinvio nell’ambito del quale era stata disposta nuova CTU, giudizio conclusosi con la sentenza della 2018, impugnata in cassazione e conclusa con la sentenza che respingeva l’impugnazione evidenziando l’insussistenza di alcun favorevole segnale prognostico circa la possibilità di costruzione o di recupero delle competenze genitoriali della ricorrente, la cui storia personale di deprivazione materiale ed affettiva le ha impedito di accedere proficuamente ad un percorso terapeutico di sostegno alla genitorialità.
Su tale premessa la Corte territoriale ha evidenziato “l’insussistenza di alcun pregiudizio non potendosi che prendere atto della circostanza che la madre non ha mai posto rimedio alla propria incostanza, immaturità, incapacità di reggere – in un periodo sufficientemente lungo – nell’osservanza di un serio tentativo di recupero della inidoneità genitoriale”.
Ebbene, a fronte di tale ratio decidendi nessun elemento oggettivo valutabile quale indice di segno contrario risulta essere stato indicato dalla ricorrente.
Per quanto concerne l’allontanamento della madre dalla comunità ove era ospitata insieme alla figlia, la sentenza ha dettagliatamente spiegato le ragioni per le quali detto allontanamento, nel corso del quale le era stato manifestato sostegno e soccorso da servizi sociali che lei aveva rifiutato, non poteva essere ricondotto a causa di forza maggiore ma confermava, ancora una volta, i limiti dell’incapacità di prendersi cura della minore e dell’essere una madre immatura.
La Corte territoriale ha evidenziato la refrattarietà della donna ai supporti sociali e psicologici dagli operatori puntualizzando che “nel caso in esame tutti i servizi coinvolti hanno profuso ogni risorsa ed ogni energia nel tentativo di recuperare le capacità genitoriali senza alcun successo; occorre quindi considerare esclusivamente l’interesse prioritario della minore che ha già operato un totale disinvestimento della relazione con la madre avendo trovato altre diverse figure di riferimento”.
Tale ratio decidendi, comunque coerente ai principi giurisprudenziali (cfr. Cass. 1837/2011; id. 881/2015, id. 6137/2015) non è stata censurata.
Il ricorso viene dichiarato inammissibile.
Avv. Emanuela Foligno
Leggi anche: