Infortunio in itinere e rischio assicurato (Cassazione civile, sez. VI, 07/10/2022, n.29300).

Infortunio in itinere e rischio derivante dallo spostamento spaziale connesso all’attività lavorativa.

Con la decisione a commento la Suprema Corte ha, in sintesi, statuito che “Nell’infortunio in itinere, il rischio assicurato è quello derivante dallo spostamento spaziale del lavoratore eseguito in connessione con lo svolgimento dell’attività lavorativa. La norma tutela il rischio generico, inerente al percorso seguito dal lavoratore per recarsi al lavoro, cui soggiace qualsiasi persona che lavora”.

La Corte d’Appello di Bologna accoglieva l’appello dell’Inail e, in riforma della pronuncia di primo grado, respingeva la domanda proposta dal lavoratore, volta a conseguimento della rendita da infortunio sul presupposto della illegittimità del provvedimento di revoca adottato dall’Istituto.

I Giudici di Appello hanno escluso l’indennizzo dell’infortunio in itinere per essersi “verificata una deviazione dal tragitto ordinario lavoro privata dimora“.

Era accaduto che il lavoratore, uscito dal lavoro e giunto con l’auto privata in prossimità della propria abitazione, era stato raggiunto da un collega di lavoro che gli aveva chiesto la disponibilità ad accompagnarlo a casa in macchina. Arrivati a destinazione, l’infortunato stava attendendo la discesa del passeggero, quest’ultimo, dopo averlo distratto con una banale scusa, lo aveva colpito con un coletto nella parte sinistra del collo.

La decisione d’appello rilevava che la deviazione dal percorso casa-lavoro non era collegata a esigenze lavorative o necessarie e che, dunque, integrava un rischio elettivo i cui effetti non erano indennizzabili come infortunio in itinere.

L’infortunato ricorre in Cassazione deducendo errata la valutazione del rischio elettivo in infortunio in itinere in quanto lo stesso è stato vittima di una rapina premeditata con tentato omicidio, ad opera del collega di lavoro.

Difatti,  una volta raggiunta la casa del collega arrestava la corsa del veicolo ma veniva aggredito dallo stesso che gli inferiva una coltellata nella parte sinistra del collo; seguivano altre coltellate e la sottrazione delle chiavi di casa e del negozio; l’aggressore si appropriava dell’autovettura e si recava presso il negozio per sottrarre l’incasso che egli credeva all’interno della cassaforte. L’aggressore veniva condannato alla pena di dieci anni di reclusione per il reato di tentato omicidio in continuazione con quello di porto abusivo di armi e di tentato furto.

Secondo la tesi del ricorrente, il maneggio di denaro costituisce un’ipotesi oggettiva di attività protetta e che la giurisprudenza di legittimità ha progressivamente esteso la tutela assicurativa ai casi di possesso del denaro anche fuori dai luoghi di lavoro, nonché di aggressione per motivi di lucro, anche se non immediatamente e direttamente monetario.

Ed ancora afferma che il requisito dell’occasione di lavoro implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio ricollegabile allo svolgimento dell’attività lavorativa in modo diretto o indiretto, con il solo limite del rischio elettivo e che, al fine di integrare l’occasione di lavoro, rilevano gli eventi dannosi, anche se imprevedibili e atipici, indipendenti dalla condotta volontaria dell’assicurato.

Le censure sono fondate.

E’ requisito indispensabile per l’indennizzabilità dell’infortunio la sussistenza della causa o, almeno, dell’occasione di lavoro, è cioè che fra la prestazione lavorativa e l’evento vi sia un nesso di derivazione eziologica quanto meno mediata ed indiretta, essendo l’evento dipendente dal rischio inerente all’attività lavorativa o connesso al compimento di tale attività.

Gli Ermellini ribadiscono l’orientamento secondo cui “ l’occasione di lavoro, quale elemento costitutivo dell’infortunio indennizzabile, si verifica quando tra l’evento lesivo e la prestazione lavorativa vi sia un nesso di derivazione eziologica, quanto meno mediato e indiretto, e cioè una correlazione che vada al di là della mera concomitanza di tempo e di luogo, per cui anche se l’infortunio non debba essere necessariamente riconducibile ad un rischio proprio insito nelle mansioni svolte dall’assicurato, deve pur sempre essere ricollegabile all’espletamento dell’attività lavorativa, nel senso che il rischio di cui è conseguenza l’infortunio sia astrattamente connesso all’esecuzione dell’attività lavorativa e al perseguimento delle relative finalità” (in tal senso v. Cass. n. 774 del 1999, in motivazione).

Invece, in caso di infortunio in itinere il rischio tutelato è differente perché l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro.

In definitiva, nell’infortunio in itinere, come definito dal legislatore del 2000, il rischio assicurato è quello derivante dallo spostamento spaziale del lavoratore eseguito in connessione con lo svolgimento dell’attività lavorativa. La norma tutela il rischio generico, inerente al percorso seguito dal lavoratore per recarsi al lavoro, cui soggiace qualsiasi persona che lavori.

La Corte d’appello di Bologna non si è attenuta ai principi di diritto richiamati in quanto ha sussunto nella previsione di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965 art. 2, comma 3, relativa all’infortunio in itinere, una fattispecie in cui il rischio cui era esposto il lavoratore non era in alcun modo ricollegabile al tragitto percorso, cioè allo spostamento spaziale, bensì pacificamente all’attività lavorativa e alle mansioni svolte.

La Suprema Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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