L’Inail non riconosce il nesso causale tra rischio lavorativo e malattia professionale contratta dal calciatore professionista (Tribunale di Modena, Sez. Lavoro, Sentenza n. 160/2021 del 31/03/2021- RG n. 1595/2018)

Con ricorso ex art. 442 c.p.c. dell’11.12.2018, il ricorrente espone che dal 2006 svolgeva la professione di calciatore professionista; era affetto da ernia discale L5 -S1 – ernia discale L4 -L5; la risonanza magnetica del 13.0 3.2017 riscontrava “segni di spondiloatrosi con alterazioni degenerative disco geniche con dessicazione del disco a livello L3 L4 L5 S1 con riduzione dello spazio intersomatico corrispondente, a livello L3 L4 bulding discale posteriore, a livello L4 L5 protrusione erniaria discale a larga base posteriore, a livello L5 S1 protrusione erniaria discale a larga base”; le patologie croniche erano attribuibili all’attività sportiva svolta a livello professionistico, implicante allenamenti intensi e carichi massimali elevati nell’arco di tutta la stagione agonistica; l’Inail non riconosceva il nesso causale tra rischio lavorativo e malattia professionale; il CTP, riscontrava una genesi lavorativa per le menomazioni al rachide e stimava i postumi permanenti nella misura del 12%.

Si costituisce in giudizio l’Inail contestando la domanda e ribadendo la correttezza del diniego reso in sede amministrativa.

Ribadisce l’Istituto l’inesistenza del rischio lavorativo, come da parere specialistico del Contarp del 16.06.2008, e affermava che la patologia lombare del ricorrente non era ” legata da alcun nesso di causalità con le mansioni svolte (per inidoneità del rischio), ma al contrario attribuibile a preesistenza extra lavorativa “.

La causa viene istruita attraverso CTU Medico-Legale.

Viene dato atto che il lavoratore che affermi la dipendenza della malattia da una causa di servizio ha l’onere di dedurre e provare i fatti costitutivi del diritto, dimostrando la riconducibilità dell’affezione denunciata alle modalità concrete di svolgimento delle mansioni inerenti la qualifica rivestita.

Al riguardo la Suprema Corte ha chiarito che “in tema di malattia professionale derivante da lavorazione non tabellata o ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro grava sul lavoratore e deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere ravvisata in un rilevante grado di probabilità”.

Il ricorrente ha ottemperato ai propri obblighi inerenti l’onere probatorio.

Dalla fase istruttoria sono emersi elementi utili per affermare che le mansioni espletate dal ricorrente abbiano causato, con elevato grado di probabilità, la malattia denunciata.

La CTU ha accertato che: “il calciatore è affetto da una patologia erniaria lombare nel tratto L3 -S1. Il C.T.U. …..(…).. l’attività motoria svolta dal calciatore professionista sollecita in modo rilevante il rachide vertebrale, provocando nel tempo fenomeni di degenerazione e alterazioni di carattere cronico. Sussiste una correlazione causale tra la l’ernia discale e l’attività professionale del ricorrente: le sollecitazioni rachidee cui è sottoposto il periziando nello svolgimento della propria attività lavorativa di calciatore, sono da ricondurre ad origine professionale in quanto presenti sia i criteri di intensità ed esposizione a fattori di rischio, sia la stessa durata della esposizione alla movimentazione manuale dei carichi. Gli stress ripetuti che il calciatore ha affrontato nel corso della propria carriera hanno indotto un’usura precoce delle articolazioni vertebrali, comportando conseguentemente l’insorgenza di patologia erniaria lombare. Né vi è prova in atti di un diverso fattore patogeno o di fattori concausali di origine extralavorativa, neppure allegati dall’Istituto…..(..).. I postumi permanenti sono quantificabili nella misura del 6-7%, da cumularsi alla preesistente menomazione, riconosciuta dall’Inail in misura del 10%, l’attuale grado menomativo percentuale, in ambito MP, risulta pari al 16% “.

Il Giudice condivide gli esiti della CTU ed evidenzia che non vi sono ragioni per discostarsene, considerato anche che i consulenti di parte non hanno formulato contestazioni alle risultanze peritali.

L’Inail viene condannato a corrispondere al calciatore professionista l’indennizzo previsto dall’art. 13, D. Leg. n.38/2000, nei limiti di quanto accertato dal C.T.U., oltre interessi legali e rivalutazione monetaria a decorrere dal 121° giorno successivo alla data di presentazione della domanda amministrativa sino al saldo.

Riguardo la statuizione sulle spese di lite, il Tribunale evidenzia che è del tutto corretta l’individuazione di una situazione di reciproca soccombenza delle parti qualora siano rigettate alcune domande o nei casi in cui l’unica domanda di parte attrice risulti accolta solo parzialmente nel quantum.

La regolazione delle spese di lite può avvenire in base alla soccombenza integrale, che determina la condanna dell’unica parte soccombente al pagamento integrale di tali spese, ovvero in base alla reciproca parziale soccombenza, che si fonda sul principio di causalità degli oneri processuali e comporta la possibile compensazione totale o parziale di essi.

La reciproca soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, tanto allorché quest’ultima sia stata articolati in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento.

Ergo, il riconoscimento di una percentuale di invalidità notevolmente inferiore a quella prospettata nel ricorso, determina una situazione di soccombenza reciproca, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., e viene disposta la compensazione parziale delle spese di lite, nella misura del 50%.

La restante quota del 50% viene posta a carico dell’Inail in forza del principio della soccombenza.

Le spese della C.T.U. vengono poste a carico dell’Inail.

Avv. Emanuela Foligno

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