Il danno morale da malattia ad esito infausto non coincide con il danno catastrofale, caratterizzandosi proprio per l’indeterminatezza dei tempi di durata della malattia

“La categoria generale del danno non patrimoniale presenta natura composita, articolandosi in una serie di aspetti (o voci) aventi funzione meramente descrittiva, quali il danno morale (identificabile nel patema d’animo o nella sofferenza interiore subìti dalla vittima dell’illecito, ovvero nella lesione arrecata alla dignità o integrità morale, quale massima espressione della dignità umana), quello biologico (inteso come lesione del bene salute) e quello esistenziale (costituito dallo sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto danneggiato), dei quali – ove essi ricorrano cumulativamente – il giudice ne deve tenere conto in sede di liquidazione del danno, in ossequio al principio dell’integralità del risarcimento, senza che a ciò osti il carattere unitario della liquidazione, da ritenere violato solo quando lo stesso aspetto (o voce) venga computato due (o più) volte sulla base di diverse, meramente formali, denominazioni” (Cass. n. 1361/2014).

La vicenda

Il principio è stato ribadito dalla Corte d’appello di Ancona (sentenza n. 434/2019), nell’ambito di un procedimento avanzato dai congiunti di un operaio morto a causa di un mesotelioma pleurico contratto sul lavoro.

Questi ultimi avevano domandato un adeguato ristoro alla sofferenza psichica patita dal loro congiunto, in conseguenza dell’assai travagliato decorso della malattia ad esito infausto che lo aveva colpito, e cioè dall’epoca della relativa diagnosi sino alla data del decesso.

Il collegio ha ritenuto risarcibile il “danno morale da malattia terminale”, inteso quale pregiudizio meritevole di autonoma considerazione rispetto al danno biologico.

Se infatti il danno biologico consiste nella lesione dell’integrità psico-fisica – vale a dire nel pregiudizio rappresentato dalla malattia in sé considerata, nella menomazione del fondamentale bene della salute, tutelato dall’art. 32 Cost.- il danno morale va qualificato in termini di lesione alla dignità personale dell’individuo, o personalità, intesa come l’insieme delle caratteristiche individuali non fisiche del soggetto, oggetto di fondamentale tutela giuridica in forza delle disposizioni di cui all’art. 2 Cost.

Insomma, già da tempo la Suprema Corte di Cassazione (Cass. Sez. Un. n. 26972/2008) ha attribuito autonomo rilievo al danno morale rispetto a quello biologico, a fini di quantificazione dell’integrale risarcimento.

Ebbene di tali principi ha fatto applicazione anche la corte d’appello di Ancona con riferimento al caso in esame, ritenendo meritevole di autonoma considerazione anche il “turbamento” che aveva pervaso l’animo di quell’uomo, consapevole che la lesione della propria salute fosse irreversibile.

Da qui il risarcimento dell’ulterioe voce di danno morale cd. da “malattia terminale”.

Si tratta di un pregiudizio – ha chiarito il collegio di secondo grado –  che non coincide con il c.d. danno “catastrofale”, di recente creazione giurisprudenziale. Mentre quest’ultimo, infatti, si sostanzia in un vero e proprio “terrore” dell’animo umano nel momento in cui l’individuo, vittima di un sinistro, percepisce l’imminenza della morte nel senso più stretto e più realistico del termine e, dunque, piomba repentinamente in uno stato di sgomento della massima intensità concepibile.

Viceversa, il tipo di sofferenza psichica dell’infermo terminale si connota proprio per l’indeterminatezza dei tempi di durata della malattia e, in ogni caso, per la tendenzialmente non immediata risoluzione definitiva dell’evento tragico.

Per tale voce di danno la corte territoriale ha preso in considerazione i criteri elaborati dalle tabelle milanesi, computando l’arco temporale di quattro anni (dal momento della toracoscopia e delle biopsie il cui esame istologico aveva documentato la malattia sino all’epoca del decesso) e considerando come dato costante il grado di invalidità assoluta (100%), posto l’iter particolarmente travagliato della malattia e l’esito infausto; giungendo in questo modo, a liquidare la somma complessiva di 429.240,00.

La redazione giuridica

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