Malore improvviso del lavoratore e successivo decesso (Cassazione penale, sez. III, dep. 29/12/2022, n.49472).

Il lavoratore cade dalla scala e viene sostenuta la tesi del malore improvviso.

La Corte di Appello di Napoli, pronunciandosi in sede di rinvio, confermava l’assoluzione del datore di lavoro resa dal Giudice di primo grado dal reato di omicidio colposo.

Al lavoratore deceduto veniva dato l’incarico di procedere, in assenza dei proprietari, alla sistemazione del patio della residenza estiva. Secondo i Giudici di merito l’incarico veniva fornito  consentendo l’utilizzo di una scala per raggiungere la parte superiore della struttura dell’edificio, in assenza di adeguati strumenti di protezione e delle necessarie informazioni connesse ai pericoli dell’attività svolta, contribuendo a determinare le condizioni che ne avrebbero causato la caduta al suolo riportando una lesione del cranio.

Nel confermare integralmente la pronuncia di primo grado, i Giudici di appello del rinvio hanno ritenuto, dopo aver assunto nuovamente le prove dichiarative, che, anche a voler superare ogni dubbio sul conferimento dell’incarico, fosse del tutto incerta l’esecuzione dei lavori da parte del lavoratore presso l’abitazione degli imputati, non potendosi escludere, specie sulla base della deposizione della teste presente sul posto, ed in assenza di esame autoptico del cadavere, che l’incidente fosse stato la conseguenza di un malore improvviso che aveva colto l’uomo nell’atto di salire sulla scala, o addirittura nel mentre si trovava in terra avendo egli stesso nella caduta provocato il ribaltamento della scala.

Avverso il suddetto provvedimento hanno proposto ricorso per cassazione sia il Procuratore Generale, che le parti civili.

Il Procuratore Generale deduce in primo luogo il travisamento della deposizione testimoniale. Evidenzia, inoltre, come la possibilità che l’uomo fosse caduto a terra, provocando egli stesso la caduta della scala rinvenuta sul posto, fosse in ogni caso contraddetta dalle restanti risultanze istruttorie e segnatamente dalla deposizione dell’agente di PS, avvalorata anche dal verbale di sopralluogo, secondo cui la struttura in ferro sovrastante il vialetto del giardino risultava parzialmente ricoperta con le incannucciate, laddove i rotoli del materiale ancora da montare erano posizionati all’esterno della villetta, dalla constatazione da parte dello stesso teste della instabilità della scala utilizzata dalla vittima, dalla documentazione medica rilasciata dal 118 attestante politrauma e una commozione cranica del tutto compatibili con la caduta dall’alto, nonché dalle testimonianze dei due dipendenti ASL che, a conferma di quanto già dichiarato nel separato procedimento celebratosi davanti al tribunale di Aversa nei confronti degli stessi imputati, condannati per violazioni della L. n. 81 del 2008, avevano affermato che il lavoro svolto fosse da annoverarsi tra gli interventi in quota in quanto svolto a distanza superiore ai due metri di distanza dal piano di calpestio, senza che la scala fornita al lavorante fosse conforme alle prescrizioni della normativa antinfortunistica.

Le parti civili, evidenziano anch’esse il travisamento della prova testimoniale e rilevano, nello specifico, come le dichiarazioni dei testi della ASL siano state integralmente ignorate dai Giudici del rinvio, e come la deposizione della teste sia stata, al contrario, palesemente travisata.

Deducono al riguardo che l’affermazione resa da costei relativa al fatto di aver sentito “una botta, un tonfo pazzesco” non consentisse di ipotizzare, se non in termini di assoluta irragionevolezza, che la scala fosse piombata a terra in conseguenza della caduta da terra della stessa vittima che certo non avrebbe potuto provocare il rumore (descritto con suono eclatante dalla teste), conclusione questa in ogni caso contraddetta dalla relazione del consulente tecnico del PM, anch’essa ignorata dalla Corte di appello, secondo la quale la morte era stata determinata da un trauma contusivo-fratturativo di notevole entità del distretto cardioencefalico del tutto compatibile con una caduta da media altezza. Conseguentemente, secondo i ricorrenti, quand’anche l’uomo fosse stato colto da un malore improvviso, fatto privo di qualsiasi evidenza, tale malore non varrebbe a scalfire l’eziologia della morte quale conseguenza della sua caduta dalla scala, in costanza delle violazioni da parte degli imputati delle prescrizioni in materia antinfortunistica, e non dal piano di calpestio.

Le censure sono fondate.

La sentenza emessa dalla Corte di Appello, confermativa di quella assolutoria pronunziata dal Giudice di primo grado, è essenzialmente fondata sulla dichiarata impossibilità di accertare, sulla base delle dichiarazioni della teste, nonché dalla mancanza di un esame autoptico del cadavere, l’esatta ricostruzione degli avvenimenti.

Il Giudice del rinvio ha ritenuto incerta la ricostruzione dell’accaduto, ovverosia la caduta al suolo dalla scala a circa tre metri dal piano di calpestio del giardino della villetta, non essendo emersi dalla teste elementi in ordine all’esecuzione dei lavori in quota da parte della vittima, né sull’effettivo conferimento dell’incarico da parte dei proprietari della casa, che consentissero di desumere una univoca e convincente ricostruzione dei fatti.

Ebbene, tale decisione presenta vizi logici e violazione di legge.

L’incertezza probatoria su cui si è basata la Corte d’Appello risulta, invero, contraddetta quanto al conferimento dell’incarico di ripristinare la copertura del patio all’esterno della villetta, anche a voler prescindere dalle deposizioni raccolte, dalla condanna pronunciata all’esito di separato procedimento nei confronti dell’imputato per violazione delle prescrizioni di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, passata in giudicato, che ha accertato la trasgressione della normativa antinfortunistica in relazione alla scala fornita alla vittima per prestazioni rientranti nell’ambito di lavori in quota.

L’irrevocabilità della suddetta pronuncia, unitamente alla deposizione dei due funzionari della Asl intervenuti sul luogo del sinistro, costituivano elementi necessari di valutazione in ordine al rapporto di lavoro instauratosi, sia pur occasionalmente, tra i proprietari della abitazione e il lavoratore deceduto, risultando quanto meno il conferimento dell’incarico tutt’altro che incerto.

Quanto alla dinamica del sinistro, l’impossibilità di escludere che la vittima fosse stata colta da un malore improvviso nell’atto di salire sulla scala, o prima ancora di avere intrapreso qualsiasi attività, provocando con la sua stessa caduta in terra il ribaltamento della scala, così come afferma la sentenza in esame, risulta priva di logica anche in termini di nesso eziologico, rispetto al quale si palesa il dedotto vizio di violazione di legge.

Nella ricostruzione del nesso di causalità tra la condotta e l’evento, il caso fortuito, nel quale si compendia il malore improvviso che avrebbe colto il lavoratore (secondo la sentenza impugnata), deve essere oggetto di una dimostrazione specifica, non potendo essere soltanto ipotizzato quale possibile causa determinante la caduta dell’uomo in mancanza di elementi concreti capaci di renderlo plausibile.

Il giudizio di elevata probabilità logica implica la contestuale verifica, sulla base della stessa certezza processuale derivante dall’alta credibilità razionale o elevata probabilità logica, dell’intervento di fattori causali alternativi che devono corrispondere ad una situazione di fatto effettiva e concreta.

Ebbene, non si evince dalla sentenza impugnata sulla base di quali specifici elementi possa desumersi la sopravvenuta interruzione del rapporto causale tra la caduta al suolo del lavoratore e la violazione della normativa antinfortunistica contestata agli imputati per averle messo a disposizione, o comunque consentito l’utilizzo, di una scala inidonea alla realizzazione di lavori in quota e, ancor prima, di escludere che l’uomo si trovasse sulla scala.

Dalla relazione tecnica redatta dal Consulente nominato dal PM è emerso che la morte dell’uomo fu causata da “un traumatismo contusivo-fratturativo di notevole entità che ha interessato il distretto cardioencefalico del tutto compatibile con una caduta da media altezza”, in sintonia con la diagnosi di ingresso del paziente presso la struttura ospedaliera ove si è poi verificato il decesso attestante “un politrauma da caduta dall’alto” che, quand’anche non seguito dall’esame autoptico del cadavere, non figura tuttavia contraddetto da risultanze contrarie messe in evidenza dai Giudici distrettuali, così come del tutto significativa deve ritenersi l’espressione utilizzata dalla teste, cui la Corte partenopea attribuisce una particolare valenza probatoria trattandosi dell’unica, fra i testi escussi, ad essere presente nella villetta al momento del fatto, la quale ha definito un “tonfo pazzesco” il rumore proveniente dal giardino dove si trovava l’uomo e che l’aveva indotta ad accorrere trovandolo riverso in terra, senza che venga chiarito come tale locuzione possa ritenersi compatibile con la caduta di costui mentre si trovava in piedi sul piano di calpestio.

Sulla scorta di tali rilievi viene disposto l’annullamento della sentenza con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Napoli.

Avv. Emanuela Foligno

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