La donna lo aveva denunciato dopo tre anni di sopportazione di continui maltrattamenti, consistiti in una serie di condotte aggressive e minatorie

Era stato condannato in sede di merito per il reato di maltrattamenti nei confronti della compagna. L’uomo, in particolare era accusato di aver ingiuriato, minacciato anche di morte e percosso con pugni e con lancio di oggetti addosso – persino durante il periodo di gravidanza – la persona offesa, alla presenza dei figli minori.

Il compendio indiziario era costituito dalle dichiarazioni della donna, ritenuta pienamente attendibile, la quale si era recata in Commissariato a sporgere querela dopo essere fuggita dalla propria abitazione a seguito della minaccia di morte da parte del compagno, minaccia rivolta anche nei confronti dei figli.

L’imputato, nel ricorrere per cassazione eccepiva che le dichiarazioni della persona offesa fossero prive di riscontri esterni, quali, ad esempio, certificati medici attestanti le riferite lesioni cagionate dai presunti maltrattamenti dell’indagato.

Per la Suprema Corte, che si è pronunciata sul caso con la sentenza n. 10661/2020, il ricorso è inammissibile.

Per gli Ermellini, infatti, l’ordinanza impugnata aveva congruamente argomentato “la conferma del giudizio sulla gravità indiziaria, con solido ancoraggio alle emergenze investigative e con un ragionamento scevro da illogicità manifesta, dando conto della credibilità del narrato della persona offesa e dell’attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni, che non necessitano dell’acquisizione di riscontri oggettivi esterni ai fini della valutazione di attendibilità estrinseca”.

Al riguardo, in particolare, il Tribunale del riesame aveva evidenziato che dalle dichiarazioni della persona offesa emergevano gravi indizi di colpevolezza del fatto che l’indagato avesse posto in essere nei suoi confronti una serie di condotte aggressive e minatorie a partire dal 2016, allorché la prendeva a pugni sulla testa durante il periodo di gravidanza perché si era opposta al fatto che andasse ad acquistare droga.

Dalle dichiarazioni della persona offesa era altresì emersa la circostanza che, fino al momento del suo arrivo in Commissariato, la stessa non aveva mai denunciato l’indagato e si era anche astenuta dal recarsi al pronto soccorso sia per paura, sia perché stava cercando di aiutarlo a curarsi presso uno psicologo e a disintossicarsi da una risalente dipendenza da uso di sostanze stupefacenti; solo quando il suo comportamento era divenuto intollerabile per avere egli iniziato a minacciare di morte anche i figli, la persona offesa avea deciso di chiedere aiuto alla Polizia, cui avea raccontato in lacrime quanto stava accadendo a lei e alla famiglia da circa tre anni.

Nella motivazione del provvedimento impugnato, inoltre, il Tribunale aveva passato in rassegna i molteplici atti di violenza fisica e morale subiti nel corso degli anni, evidenziando come la circostanza che la persona offesa avesse a lungo aiutato l’indagato nel suo percorso di cura e disintossicazione costituisse valida conferma della sincerità e autenticità delle sue dichiarazioni.

L’ordinanza infine aveva sottolineato come le forze dell’ordine avessero potuto sin nell’immediatezza del fatto apprezzare la veridicità e la fondatezza delle dichiarazioni accusatorie, atteso che, subito dopo l’arrivo della persona offesa in Commissariato, sopraggiungeva proprio l’indagato che, in stato di agitazione, chiedeva insistentemente di parlare ed entrare in contatto con la donna, il cui atto di denunzia veniva raccolto a verbale.

La redazione giuridica

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