Lo hanno stabilito i Giudici di legittimità respingendo il ricorso di un uomo che lamentava l’omessa considerazione, in sede di merito, delle competenze professionali della moglie, mai sfruttate nella ricerca di occupazione
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9945/2017, si è pronunciata sulla controversia tra due ex coniugi in materia di assegno divorzile. Il Tribunale di Treviso, all’atto delle dichiarazione degli effetti civili del matrimonio, aveva disposto l’affidamento del figlio a entrambi i genitori con residenza presso la madre, a favore della quale veniva riconosciuto un assegno mensile di 800 euro per il mantenimento del ragazzo, oltra a un assegno divorzile di 400 euro al mese.
L’uomo aveva quindi proposto ricorso in appello, evidenziando la sopravvalutazione del proprio reddito mensile, nonché la violazione delle norme in materia di assegno divorzile e in particolare per l’omessa considerazione della breve durata del matrimonio e delle competenze professionali della moglie mai sfruttate nella ricerca di occupazione. Incassato il respingimento della propria istanza dal Giudice di secondo grado, l’ex marito si rivolgeva quindi alla Suprema Corte di Cassazione ma anche gli Ermellini hanno ritenuto infondate le argomentazioni proposte.
In relazione all’ammontare e alla periodicità fissa dell’assegno di mantenimento del figlio, i Giudici del Palazzaccio hanno sottolineato come la Corte d’appello avesse ampiamente esposto i motivi per cui aveva confermato l’assegno indipendentemente dai periodi di tempo che il minore trascorreva con ciascuno dei genitori, in ragione della sua collocazione per tutto l’anno scolastico e per parte delle vacanze estive presso la madre. Anche la somma destinata al alle esigenze dell’adolescente era ritenuta perfettamente congrua “rispetto ai redditi dei genitori, alle loro capacità, sostanze e possibilità, ai tempi di permanenza presso i genitori, all’età e alle esigenze del figlio”.
Quanto all’assegno divorzile, il Giudice di secondo grado aveva considerato un’ipotesi reddituale minima dell’uomo di oltre 3mila euro mensili e una sua maggiore potenzialità di guadagno, in base alla qualifica professionale rivestita di dirigente medico ospedaliero e alla circostanza incontestata dello svolgimento anche di attività professionale privata. La donna, invece, data la prevalente dedizione alla vita familiare, che aveva consentito al coniuge
di svolgere un’attività professionale di rilevante impegno, si ritrovava, all’età di oltre 50 anni presumibilmente nell’impossibilità, di “reperire una posizione lavorativa sicura e stabile pur avendo un titolo di studio (laurea di ottometrista) che astrattamente lo consentiva.
Pertanto, secondo la Cassazione, i Giudici dei merito avevano correttamente considerato l’apporto e il sostegno recato dalla donna alla vita familiare e specificamente all’attività professionale del marito e all’accudimento del figlio, valutando le sue potenzialità lavorative e reddituali.