Un solo fatto isolato, come tale, non è idoneo a integrare reiterata condotta persecutoria protratta nel tempo come connotato specifico del mobbing

Il lavoratore cita in giudizio (Tribunale di Venezia, sez. lav., sentenza n. 310 del 3 novembre 2020), il proprio datore di lavoro e il direttore delle risorse umane onde vederne acclarata la responsabilità per i danni alla salute derivanti da trattamento mobbizzante che quantifica in oltre 350.000,00 euro.

Il lavoratore, inquadrato come operatore ecologico, adiva precedentemente il medesimo Tribunale di Venezia onde ottenere l’ottenimento del IV livello, a seguito del quale veniva assegnato all’ufficio pesa di Mirano.

Il rapporto di lavoro, sempre connotato da aspra conflittualità e contenziosi giudiziali, cessava in data 13/4/2018 e il lavoratore lo impugnava.

Il lavoratore, inoltre, instaurava altri contenziosi nei confronti del proprio datore di lavoro.

L’uomo lamenta la natura mobbizzante della condotta dell’azienda e della responsabile delle Risorse Umane in particolare a far data dal riconoscimento del Tribunale del 2014 delle mansioni di IV livello.

Sostiene, nello specifico, di essere stato vittima di atteggiamenti punitivi e vessatori: illegittimo trasferimento dall’ Ecocentro di Mestre a Mirano; adibizione nell’ufficio di Mirano a mansioni impiegatizie rientranti nel V livello senza riconoscimento del dovuto inquadramento; reiterate richieste di visite mediche del lavoro; plurime sanzioni disciplinari; emarginazione da parte dei colleghi;  distaccamento presso centri di raccolta esterni con minacce di ricollocazione in diverso settore e licenziamento disciplinare ritorsivo nel 2018.

Chiede, pertanto, il riconoscimento di mobbing e il risarcimento del danno.

Il Tribunale preliminarmente dà atto che gli attriti tra le parti derivano dai numerosi contenziosi intervenuti, con particolare riferimento al contenzioso per l’inquadramento e a quello per le visite mediche non giustificate.

Sulle mansioni e connesso trasferimento dall’Ecocentro di Mestre all’Ufficio Pesa di Mirano le iniziali pronunce favorevoli del 2014 e del 2015 sono state riformate -con soccombenza del lavoratore- dalla Corte d’ Appello, mentre sulle sanzioni conservative per rifiuto del lavoratore a sottoporsi a visita medica e successivo connesso licenziamento disciplinare, le sentenze già sfavorevoli per il lavoratore in primo grado, sono state confermate.

In particolare la successione delle pronunce di primo grado rilevanti rispetto alle condotte mobbizzanti:

– sentenza del 2014 di riconoscimento del superiore IV livello;

– sentenza del 2015 su sanzione disciplinare, di cessazione della materia del contendere e regolamentazione delle sole spese di lite;

– sentenza del 2015 di condanna del datore di lavoro alla riassegnazione a sede di lavoro ricompresa nell’ambito del Comune di Venezia quale posizione ricoperta all’ epoca del riconoscimento del superiore inquadramento;

– sentenza del 2017 di  rigetto di ulteriore ricorso, presentato congiuntamente ai colleghi dell’ Ufficio Pesa, per il riconoscimento del V livello;

– sentenze del 2019, di rigetto di impugnazione avverso, rispettivamente, sanzioni conservative e licenziamento disciplinare in tronco.

Secondo quanto documentato dal datore di lavoro, le sentenze n. 90/2014 e 776/2015 favorevoli al lavoratore sono state riformate dalla Corte d’ Appello a sfavore del lavoratore; mentre le sentenze di primo grado del 2019 a lui sfavorevoli sono state confermate in Appello.

Ciò posto, alla luce delle decisioni di secondo grado, il Tribunale ritiene le doglianze del lavoratore su inquadramento e visite mediche destituite di fondamento.

Difatti risulta accertato che il lavoratore è sempre stato correttamente inquadrato sia nella precedente collocazione di Mestre che in quella di Mirano.

Il trasferimento del 2014 da Mestre a Mirano è anch’esso legittimo. Relativamente alle visite mediche richieste dal datore di lavoro, non viene ravvisata nessuna condotta illecita o accanimento.

Il datore ha operato nel pieno legittimo esercizio dei suoi poteri, mentre è senz’altro illegittimo il rifiuto reiterato del lavoratore a sottoporsi alle visite disposte nei suoi confronti.

Così facendo, peraltro, il lavoratore ha impedito lo svolgimento delle visite di idoneità ponendo in essere, presso la sede di Mirano, condotte ostili e ostruzionistiche nei confronti del proprio datore di lavoro e dei superiori gerarchici.

Il rifiuto all’esecuzione delle visite di idoneità è pretestuoso e finalizzato a impedire l’assegnazione di mansioni ritenute non consone alla professionalità, quali quelle considerate dal lavoratore di natura impiegatizia.

Un rifiuto, quindi, preordinato ad ostacolare il legittimo esercizio dello jus variandi, fondato oltretutto su un presupposto  -quello della natura impiegatizia-,  ad oggi, per effetto dell’ accertata congruità dell’ inquadramento nel III livello, definitivamente e palesemente insussistente.

Per tali ragioni non può ragionevolmente discorrersi di condotte mobbizzanti, sostiene il Tribunale, essendo preclusi inadempimento del datore rispetto all’inquadramento e alla sede di lavoro, accanimento nelle richieste di visite mediche e  abuso di potere disciplinare.

L’unico episodio, comunque inidoneo ai fini del mobbing, potrebbe essere quello scaturente dal colloquio del novembre 2016 con il direttore delle risorse umane (colloquio registrato dal lavoratore), ma si tratterebbe in ogni caso di un solo fatto isolato, come tale non idoneo a integrare reiterata condotta persecutoria protratta nel tempo come connotato specifico del mobbing.

E’ pacifico -evidenzia il Tribunale-, “che la lesione della salute psichica del lavoratore per mobbing postula un clima ostile creatosi nel luogo di lavoro a seguito di un comportamento reiterato, costituito da una serie di singole condotte, sistematiche e protratte nel tempo, sorrette da dolo specifico, a contenuto persecutorio e/o vessatorio, tendenti a penalizzare il lavoratore stesso, mortificandolo ed isolandolo nella compagine aziendale, e finalizzate addirittura a farlo dimettere”.

Per la declaratoria di mobbing è richiesta non solo l’ esistenza di plurime condotte datoriali illegittime, ma anche la prova da parte del lavoratore, con ulteriori e concreti elementi, che le stesse siano il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione.

Un unico episodio isolato non è idoneo a integrare quel clima ostile riconducibile nella figura di mobbing.

In conclusione, il Tribunale rigetta il ricorso del lavoratore.

Particolare e articolata la sentenza qui a commento che è intervenuta in un clima datore-lavoratore fortemente ostile e preceduto da 5 contenziosi giudiziali.

Per dipanarsi, il Giudice del lavoro ha, giustamente, valutato l’esito dei contenziosi precedenti allo scopo di verificare l’effettiva prevaricazione/petulanza da parte del datore di lavoro.

Comunque, il comportamento di maggior rilievo in danno del lavoratore è stato quello di rifiutare le visite mediche di idoneità.

Avv. Emanuela Foligno

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