Le molestie sessuali possono avvenire in forma fisica e verbale e possono essere finalizzate anche a discriminare il lavoratore

Sono da considerarsi molestie sessuali i comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso che violano la dignità della lavoratrice e creano clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

Il direttore di una catena di sale cinematografiche contestava formalmente a un proprio dipendente di avere molestato sessualmente 6 colleghe di lavoro e comunicava la sospensione cautelativa dal lavoro.

L’uomo faceva “battute” inerenti a eventuali crediti nei suoi confronti per rinnovi contrattuali, mimando esplicitamente gesti sessuali per sdebitarsi. Non solo, in alcuni casi, si spingeva a minacciare di morte una delle colleghe per futili motivi.

Inoltre faceva esplicitamente riferimento a favori sessuali in cambio di aiuti extra lavorativi.

L’Azienda chiedeva chiarimenti e precisazioni alle lavoratrici riguardo le gravissime condotte denunziate e tutte le donne confermavano quanto denunziato al Direttore.

Successivamente, una ex dipendente della società, si presentava spontaneamente e raccontava di avere subito abusi e discriminazioni di ogni sorta da parte dell’uomo.

L’uomo, nei termini di legge, forniva giustificazioni sia scritte che orali, con le quali negava di avere commesso le condotte addebitategli; successivamente la società datrice gli comunicava il licenziamento per giusta causa.

L’uomo impugna in Tribunale dinanzi al Giudice del Lavoro (Tribunale Tivoli, sez. lav., 14/09/2020) il licenziamento poiché illegittimo per i seguenti motivi:

 a) insussistenza dei fatti addebitati e impossibilità di qualificare gli stessi come molestie a sfondo sessuale o condotte discriminatorie ed offensive; b) inidoneità delle condotte a rivestire violazioni degli obblighi lavorativi gravanti sul dipendente; c) difetto di proporzionalità tra infrazione contestata e sanzione inflitta, anche in rapporto alle previsioni collettive contemplati sanzioni conservative per comportamenti analoghi a quelli oggetto di contestazione.

Il giudizio viene istruito mediante l’espletamento di prove testimoniali all’esito delle quali il Tribunale considera l’impugnativa dell’uomo infondata in quanto i fatti esposti delle lavoratrici sono realmente accaduti, come confermati dalle prove testimoniali precise e concordanti che formano piena prova.

Le testimoni, precisa il Tribunale, hanno anche chiarito di non aver subito alcun tipo di pressione da parte dei vertici aziendali nel determinarsi a denunciare i fatti in esame ed hanno precisato che la segnalazione è stata effettuata dopo un colloquio avuto tra le stesse ed il manager della società.

L’uomo licenziato, quindi, si è reso protagonista di gravi condotte commesse in danno delle colleghe sul luogo di lavoro, caratterizzate da continui e reiterati commenti ed allusioni sessuali rivolti nei confronti di altri dipendenti di sesso femminile, nonché di minacce di morte ed aggressioni verbali e talvolta fisiche.

Tali atteggiamenti espliciti di contenuto sessuale, alcune volte sfociati anche in approcci fisici, hanno cagionato turbamento e imbarazzo nelle colleghe ed hanno creato estremo disagio e malessere nel venire a lavoro al punto di sentirsi inermi di fronte alla protratta e continua condotta dell’uomo.

In particolare viene accertato che l’uomo causava svariati episodi di estrema gravità non tollerabili nel contesto lavorativo.

Essi vengono qualificati come molestie sessuali sul luogo di lavoro e costituiscono ingiustificabili atteggiamenti offensivi, vessatori e di abuso nei confronti delle colleghe.

Sul punto, viene ricordato che l’art. 26 D. Lgs. 198/2006 qualifica le molestie sessuali come discriminazione, identificandole con comportamenti (espressi in forma fisica, verbale o non verbale) indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità della lavoratrice destinataria e di creare nei suoi confronti un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

Le molestie sono quindi un comportamento del molestatore, indesiderato dalla persona che lo subisce ed oggettivamente idoneo a ledere la sua dignità.

Infatti, i continui commenti e allusioni a sfondo sessuale, gli atteggiamenti invasivi e minacciosi, nonché il millantato credito per rinnovi contrattuali finalizzato a  richieste di favori sessuali costituiscono oggettivamente comportamenti in grado di produrre un effetto lesivo sulla dignità personale e la serenità professionale.

La Suprema Corte, in tema di molestie sul posto di lavoro a danno di un collega, ha affermato che: “Le molestie sessuali sul luogo di lavoro, incidendo sulla salute e la serenità del lavoratore, comportano l’obbligo di tutela a carico del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c., sicché deve ritenersi legittimo il licenziamento irrogato al dipendente che abbia molestato sessualmente una collega sul luogo di lavoro, a nulla rilevando la mancata previsione della suddetta ipotesi nel codice disciplinare e senza che, in contrario, possa dedursi che il datore di lavoro è controparte di tutti i lavoratori, sia uomini che donne, e non può perciò essere chiamato ad un ruolo protettivo delle seconde nei confronti dei primi, giacché, per un verso, le molestie sessuali possono avere come vittima entrambi i sessi e, per altro verso, il datore di lavoro ha in ogni caso l’obbligo, a norma dell’art. 2087 cit., di adottare i provvedimenti che risultino idonei a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori, tra i quali rientra l’eventuale licenziamento dell’autore delle molestie sessuali.”

La sanzione del licenziamento per giusta causa risulta, pertanto, corretta e proporzionata ai fatti.

La condotta dell’uomo viene collocata nell’alveo delle condotte gravemente vessatorie e offensive poste in essere ai danni di molteplici colleghe sul luogo di lavoro.

La domanda dell’uomo viene integralmente respinta e confermato il licenziamento per giusta causa.

Avv. Emanuela Foligno

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