Le modifiche apportate da uno dei condomini alle parti comuni dell’edificio in violazione del divieto previsto dal regolamento condominiale, devono qualificarsi come opere abusive e pregiudizievoli al decoro architettonico

La vicenda

La proprietaria di un immobile aveva citato in giudizio i due usufruttuari e la nuda proprietaria dell’immobile “porticato” sito nello stesso condominio e confinante con il suo appartamento, chiedendone la condanna alla rimozione della struttura in legno e del casotto da questi realizzati su due lati del “porticato”. Tali opere, a detta dell’attrice violavano l’art. 1102 c.c., comma 2 e l’art. 7 del regolamento di condominio, che stabiliva il divieto assoluto di apportare qualsiasi modifica alle parti esterne o nelle zone comuni dell’edificio.

In primo grado il Tribunale di Napoli, rigettò la domanda escludendo la compromissione del decoro architettonico; parimenti fu respinta la domanda riconvenzionale formulata dai convenuti volta alla rimozione delle grate in ferro poste dall’attrice sulle proprie finestre.

La Corte di appello di Napoli, riformò la decisione, condannando sia l’attrice che i convenuti alla rimozione delle rispettive opere, poiché contrarie all’art. 7 del predetto regolamento condominiale intesa come norma di contenuto più ampio rispetto al precetto di cui all’art. 1120 c.c.

Il decoro architettonico

La giurisprudenza di legittimità ha già chiarito – proprio con riguardo a disposizioni che, come l’art. 7 del regolamento del Condominio, stabiliscano il “divieto assoluto di apportare qualsiasi modifica alle parti esterno dell’edificio o nelle zone comuni, che comunque alterino l’attuale aspetto architettonico dell’edificio” – che è rimessa all’autonomia privata la facoltà di stipulare convenzioni che pongano limitazioni nell’interesse comune ai diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti comuni o di loro esclusiva proprietà.

Ed inoltre, il regolamento può validamente dare una definizione di “decoro architettonico” più rigorosa di quella accolta dall’art. 1120 c.c. e supposta dal medesimo art. 1102 c.c., arrivando al punto di imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica ed all’aspetto generale dell’edificio.

La pronuncia della Cassazione

La corte d’appello – a detta dei giudici della Suprema Corte – non aveva fatto altro che uniformarsi a tali principi di diritto, ritenendo che le modificazioni apportate alle parti comuni dell’edificio, in violazione del divieto previsto dal regolamento condominiale, fossero qualificabili come opere come abusive e pregiudizievoli al decoro architettonico e che come tali legittimassero qualsiasi condomino ad agre in giudizio a tutela della cosa comune.

Il decoro architettonico, che caratterizzi la fisionomia dell’edificio condominiale, è infatti un bene comune, ai sensi dell’art. 1117 c.c., il cui mantenimento è tutelato a prescindere dalla validità estetica assoluta delle modifiche che si intendono apportare (Cass. Sez. 2, 04/04/2008, n. 8830).

Spetta poi, al giudice di merito valutare l’impatto di un’innovazione sul decoro architettonico dell’edificio, con valutazione insindacabile in sede di legittimità.

Parimenti, l’interpretazione delle clausole di un regolamento condominiale è sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, ovvero per l’omesso esame di un fatto storico ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Per tutti questi motivi il ricorso è stato rigettato e confermata la decisione della corte d’appello napoletana.

La redazione giuridica

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