Tentata estorsione alla sorella: la condotta riparatoria estingue il reato

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tentata estorsione

La causa di estinzione del reato prevista dall’art. 162 ter c.p., è applicabile anche alla tentata estorsione mediante minaccia, commesso in danno della sorella non convivente, poiché trattasi di reato procedibile a querela

La vicenda

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verbania aveva dichiarato di non dover procedere nei confronti dell’imputato per tentata estorsione ai danni della sorella, essendosi il reato estinto per condotta riparatoria (art. 162 ter c.p.).

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino, chiedendone l’annullamento per violazione della legge penale, in quanto la causa di estinzione del reato prevista dall’art. 162 ter c.p. presuppone che si tratti di “casi di procedibilità a querela soggetta a remissione”; mentre invece, il delitto di estorsione, anche nella forma tentata, sarebbe – a giudizio del ricorrente – procedibile d’ufficio.

La pronuncia della Cassazione

I giudici della Seconda Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 44683/2019) hanno rigettato il ricorso perché manifestamente infondato.

L’art. 649 c.p., comma 2, prevede che i delitti contro il patrimonio, anche se commessi in danno del fratello o della sorella non convivente con l’autore del reato (in caso di convivenza verrebbe meno la punibilità, ai sensi del comma 1 dello stesso articolo) sono procedibili a querela della persona offesa.

Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, la causa di non punibilità e la condizione di non procedibilità di cui ai commi primo e secondo dell’art. 649 c.p., si applicano anche alle ipotesi tentate dei delitti di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione, di cui rispettivamente agli artt. 628, 629 e 630 c.p.

Qualora invece, i suddetti reati, sia nella forma consumata che tentata, siano commessi con violenza alle persone, la procedibilità è d’ufficio.

La Cassazione ha ritenuto che poiché l’art. 649 c.p., comma 2, non menziona espressamente il tentativo (“delitti preveduti dagli artt. 628, 629, e 630”), tale norma non può essere interpretata estensivamente, vertendosi in una materia in cui non può praticarsi un esercizio ermeneutico in malam partem.

In definitiva, i giudici della Suprema Corte hanno stabilito che il reato di tentata estorsione mediante minaccia commesso in danno della sorella non convivente dell’agente, è procedibile a querela; e per tali motivi è stata confermata la sentenza del G.i.p. in ordine alla estinzione del reato per intervenuta condotta riparatoria.

La redazione giuridica

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