Lo ha stabilito la Cassazione pronunciandosi sul ricorso di un uomo condannato per aver scattato alcune foto a due vicine al fine di verificarne l’aderenza al regolamento condominiale

Appostato sul balcone della propria abitazione scattava foto delle vicine di casa mentre transitavano nei pressi dello stabile condominiale, con l’intento di verificare il rispetto delle regole condominiali e documentare eventuali infrazioni. L’uomo era stato condannato in primo grado a un’ammenda di 300 euro, oltre al risarcimento del danno determinato dall’integrazione, ai sensi dell’articolo 660 del codice penale, del reato di molestie nei confronti delle due donne.
Secondo il Giudice di primo grado, quindi, i continui appostamenti finalizzati a cogliere in fallo condomini e visitatori, costituivano una condotta “connotata dal requisito della petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, insistente, indiscreto, sicuramente idoneo ad interferire, ledendola, nella sfera della quiete e della libertà delle persone”. La motivazione di tale condotta, invece, era considerata del tutto irrilevante.
Il condannato, tuttavia, si era rivolto alla suprema Corte di Cassazione, evidenziando la mancanza degli estremi oggettivi e soggettivi del reato. Le donne, infatti, erano state “fotografate in modo fulmineo e senza alcuna ostentazione” al solo fine “di acquisire prove delle violazioni del regolamento di condominio, agendo per la tutela dei propri diritti e non per malanimo o altro biasimevole motivo”.
Gli Ermellini, con la sentenza n.18539/2017 hanno ritenuto di accogliere le argomentazioni del condomino, scagionandolo da ogni accusa. Per i Giudici del Palazzaccio, i due episodi riferiti dalle parti lese non sono idonei di per sé a integrare distinti fatti di molestia. Dal momento che le testimonianze raccolte per i fatti simili non possono avere rilevanza processuale, la condotta dell’imputato non può ritenersi abituale, in quanto si è realizzata in danno delle singole parti lese una sola volta; peraltro solo una delle due donne era certa di essere stata fotografata, mentre l’altra aveva visto l’uomo con la macchina fotografica in mano ma non era sicura che le aveva scattato anche una foto. Da qui l’annullamento della sentenza senza rinvio perché il fatto non sussiste.
 

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