La malattia, secondo uno studio, potrebbe trasmettersi col sangue. Il che darebbe corpo all’ipotesi secondo cui il morbo di Alzheimer è contagioso

Il morbo di Alzheimer è contagioso? Un’ipotesi che fino a poco tempo avrebbe avuto dell’incredibile, prende corpo grazie a uno studio della University of British Columbia di Vancouver.
Secondo i ricercatori, non è da escludere la trasmissibilità della malattia con il sangue, fatto che proverebbe che il morbo di Alzheimer è contagioso.

La ricerca è la prima al mondo a dimostrare che la beta-amiloide, proteina cardine nella patogenesi dell’Alzheimer, può trasmettersi attraverso il sangue da un animale all’altro.

Questo indurrebbe, nell’arco di pochi mesi, delle alterazioni patologiche nel cervello degli animali sani.
Lo studio canadese è stato pubblicato sulla rivista Molecular Psychiatry (Nature) e potrebbe aprire nuovi scenari nella cura del morbo di Alzheimer.
Lo studio della beta-amiloide e il modo in cui viene trasmessa con il sangue ha dato inizio a tutto. È stato proprio lo studio di questa proteina, che viene prodotta direttamente nel cervello così come in tessuti periferici da dove poi passa nella circolazione generale, a far scaturire negli scienziati il sospetto che anche una semplice trasfusione di sangue possa portare ad ammalarsi di Alzheimer.
La ricerca è stata avviata a partire da una similitudine di patogenesi tra Alzheimer e malattie da prioni. Si fa riferimento, ad esempio, al morbo della mucca pazza.
Ebbene, è stato rilevato che quando un topo sano entra in contatto con il sangue di con un topo malato (geneticamente indotto), inizia lui stesso a sviluppare placche amiloidi nel cervello.

I ricercatori canadesi sono quindi arrivati a osservare come la proteina in oggetto potesse trasmettersi attraverso il sangue da un animale all’altro.

Questo provocherebbe nel giro di pochissimi mesi ad alterazioni importanti di tipo patologico, simili all’Alzheimer. Sono poi state notate alterazione nella attività cerebrale in determinate regioni legate all’apprendimento ed alla memoria, come ad esempio nell’ippocampo.
Questo darebbe corpo all’ipotesi per cui l’Alzheimer è contagioso, o comunque, è un buon punto di partenza per questo tipo di indagine.
“È la prima volta – afferma Weihong Song, alla guida dell’esperimento – che si dimostra che la proteina beta-amiloide penetra nel sangue e nel cervello da un altro topo e causa segni di Alzheimer”.
Questo risultato supporterebbe l’idea di sviluppare trattamenti per l’Alzheimer che abbiano come target il metabolismo della proteina beta-amiloide sia nel cervello che in periferia.

Occorre però ricordare come la medesima ipotesi non avesse trovato conferme in uno studio precedente pubblicato su Annals of Internal Medicine.

In esso era stato dimostrato come su un campione di oltre due milioni di riceventi trasfusioni in Svezia e Danimarca non fosse stato evidenziato un maggiore rischio di Alzheimer nelle persone che avevano ricevuto sangue da donatori affetti dal morbo.
È vero che non è escluso che possano emergere più avanti manifestazioni della malattia correlate alle trasfusioni infette dalla proteina beta-amiloide.
Infatti, è positivo che questo studio abbia messo in allarme sul punto, perché più avanti a queste ipotesi si potrebbe trovare conferma.
Secondo Gustaf Edgren del Karolinska Institutet di Stoccolma “il team ha mostrato che è possibile indurre le placche nei topi connettendo la circolazione rafforzando l’ipotesi che la proteina beta-amiloide è in qualche modo ‘infettiva’, e che potrebbe comportarsi esattamente come un prione”.
I risultati però contraddicono quanto rilevato dallo stesso Edgren.
I dati, infatti, avevano evidenziato che le persone che avevano ricevuto sangue da un malato di Alzheimer non avevano un maggior rischio di sviluppare la malattia.
Inoltre, è stato ipotizzato che essendo che il lasso di tempo analizzato fosse troppo breve per captare eventuali legami fra trasfusione e demenza.
Gli autori dell’ultimo studio mettono però in guardia sulla possibilità di trarre conclusioni. Il collegamento del sistema circolatorio nei topi, infatti, è comunque differente da quello umano.
 
 
 
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