Condanna a 14 anni di reclusione per il gestore e tre dipendenti della struttura Villa Sant’Andrea di Aprilia, dove l’85enne trascorse le settimane precedenti al decesso

E’ una sentenza destinata a fare scuola quella emessa ieri dal Tribunale di Latina e relativa alla morte di Elisabetta Pinna, l’anziana 85enne di origini sarde, deceduta a luglio 2010 all’Ospedale di Gallarate, nel Varesino, dopo essere stata ospite per alcune settimane presso una casa di riposo di Aprilia, in provincia di Roma.

Il giudice ha accolto la ricostruzione del Pubblico Ministero secondo cui la vittima, “non deambulante per le conseguenze di una frattura al femore e affetta da cardiomiopatia e morbo di Alzheimer, con totale perdita di autonomia”, sarebbe stata lasciata morire dal personale della struttura che l’aveva in cura, la comunità alloggio Villa Sant’Andrea.

La paziente non sarebbe stata alimentata né idratata adeguatamente. Al momento del decesso la signora presentava alcune piaghe da decubito, nella zona sacrale, che interessavano “un’area di 20-25 centimetri di diametro con esposizione del tessuto osseo”. Inoltre, le condizioni dell’anziana sarebbero state tenute nascoste ai familiari; in particolare alla nipote, che un giorno trovò la zia con la coperta alzata fino al collo venne detto dai sanitari che non poteva in alcun modo essere scoperta. La donna morì, secondo quanto emerso dall’autopsia, a causa di una sepsi e di una successiva polmonite, sviluppatesi durante il ricovero presso la struttura pontina.

La sentenza ha visto la condanna, per omicidio volontario, di quattro imputati, condannati alla pena di 14 anni di reclusione. Si tratta del gestore della comunità alloggio Villa Sant’Andrea, la sua collaboratrice, un’infermiera e un’operatrice socio sanitaria. Assolti, invece, gli altri due imputati nel processo, anch’essi dipendenti della Casa alloggio dove peraltro, come accertato, veniva esercitata abusivamente l’attività di assistenza sanitaria. “E’ il primo caso in Italia di condanna per omicidio volontario legata all’assenza di cure e assistenza in campo sanitario”, hanno commentato i legali di parte civile dei familiari della vittima nell’esprime la loro soddisfazione per una “sentenza legata ad un episodio odioso”.

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