A causare il decesso fu un embolo, ma la somministrazione di una terapia farmacologica adeguata avrebbe potuto solamente ridurre e non azzerare il rischio di processo trombotico
Potrebbe cadere nel nulla l’esposto presentato alla Procura di Lecce dai familiari di una donna salentina di 42 anni, deceduta lo scorso marzo in circostanze ritenute sospette. La signora aveva riportato una frattura composta alla gamba, che aveva richiesto l‘applicazione di un gesso presso l’Ospedale di un centro della Provincia. Tornata a casa si era poi improvvisamente sentita male, accusando vertigini e forti dolori alla testa. A nulla era valso l’intervento dei sanitari del 118, chiamati dai parenti e prontamente accorsi sul posto; la donna, infatti, era deceduta nel tragitto dell’ambulanza verso l’Ospedale di Lecce.
In seguito al decesso e alla denuncia della famiglia, il Sostituto procuratore aveva iscritto nel registro degli indagati due medici dell’Ospedale in cui la donna era stata curata con l’ipotesi di reato di omicidio colposo per “ipotizzate condotte colpose dovute a negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di leggi regolamenti ordini e discipline, nella cura della paziente”.
L’autopsia, svolta quasi a due mesi di distanza dalla morte alla presenza dei periti delle parti, aveva stabilito che a causare il decesso era stato un embolo. Secondo i legali della famiglia la formazione di tale embolo era da attribuire a un’errata terapia farmacologica somministrata in seguito all’ingessamento dell’arto inferiore.
Il consulente medico legale della Procura, tuttavia, pur confermando che un’adeguata somministrazione dei farmaci “avrebbe offerto maggiori chance di non sviluppare il processo trombotico”, ha stabilito che il rischio di tale processo per la paziente poteva essere ridotto ma non azzerato. Di qui la decisione del sostituto procuratore di richiedere l’archiviazione del procedimento; una richiesta nei confronti della quale il legale dei parenti della donna ha già annunciato di voler depositare istanza di opposizione.