Confermata la penale responsabilità per l’infortunio occorso a un dipendente che riportava la mutilazione della mano nell’area della macchina listellatrice

Con la sentenza n. 2871/2021 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso proposto dal datore di lavoro di un operaio rimasto vittima di un incidente in fabbrica. L’imputato, nello specifico, era stato condannato in sede di merito per avere, quale consigliere delegato dell’azienda, “per colpa generica e specifica, in particolare, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro di cui all’art. 70 comma 2 e 71 comma 1 in riferimento all’allegato V parte I punti 6.1 e 6.3 del TU 81/2008”, causato al dipendente lesioni personali gravissime, dalle quali derivava la mutilazione della mano destra e comunque una malattia per un tempo superiore a 40 giorni.

In particolare, secondo la ricostruzione dell’accusa, mentre il lavoratore, addetto alla linea impianti e carrellista presso il reparto levigatura, accedeva all’interno dell’area segregata della macchina listellatrice e cercava di estrarre dei listelli posti sul piano di avanzamento, rimaneva bloccato con entrambe le mani sotto la colonna di ferro che costituiva la guida per lo scorrimento della lama; lama che compiendo il proprio stato di avanzamento gli causava le lesioni sopra descritte.

La Corte territoriale riteneva sussistente il profilo di colpa specifica in capo al titolare della posizione di garanzia e il nesso causale con l’evento-infortunio in quanto, affermava, che se fossero stati adottati idonei dispositivi atti ad garantire un dispositivo di sicurezza con autonomo sistema di bloccaggio non rimesso di fatto alla diligente iniziativa del lavoratore che doveva azionare la posizione manuale, l’infortunio non si sarebbe verificato.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente deduceva, tra gli altri motivi, omessa e illogica motivazione sul punto riguardante la mancata apposizione del meccanismo di interblocco, unitamente alla mancata verifica del rispetto della procedura di consegna della chiave di accesso alla zona segretata del macchinario; a suo avviso, infatti, si trattava di modalità esecutive di dettaglio dell’organizzazione più che di scelte gestionali a lui riferibili. Inoltre, sottolineava che il DVR era stato redatto dopo un approfondimento effettuato da un gruppo di esperti che non avevano quindi valutato adeguatamente i profili di rischio e non avevano segnalato alcuna miglioria da apportare all’organizzazione in materia di rischi sul lavoro. La Corte territoriale, quindi, non avrebbe riconosciuto l’affidamento incolpevole del ricorrente, impossibilitato a verificare di persona ciascun macchinario della società e che perciò aveva delegato la verifica concreta dei presidi di sicurezza ad un team di esperti.

Con altro motivo, poi, l’imputato contestava il mancato accoglimento della tesi del Consulente tecnico della difesa circa la conformità del riparo alla normativa vigente, in quanto sulla base della Direttiva Uni Em 953 la predisposizione di un meccanismo di interblocco è obbligatoria solo nel caso in cui la frequenza di accesso al macchinario fosse stata alta, cosa che non era stata dimostrata nel caso di specie.

Nel rigettare le argomentazioni proposte, in quanto infondate, la Cassazione ha evidenziato come il Giudice a quo avesse articolato, con dovizia di argomenti fattuali logico-giuridici, una diffusa ricostruzione degli accadimenti, ricavata anche dalla dettagliata analisi del giudice di primo grado, individuando correttamente i seguenti puntuali addebiti di carattere omissivo: “non avere il datore di lavoro approntato tutta una serie di accorgimenti, previsti dalla normativa antinfortunistica in particolare dall’art. 70 comma 2 e 71 comma 1 in riferimento allegato V part I punto 6.1 e 6.3. del T.0 81/2008 che imponevano la predisposizione di dispositivi di sicurezza che impedissero il movimento delle lame nel caso di avvicinamento dell’operatore al macchinario, una volta aperta la porta presente su una delle barriere perimetrali; non avere altresì previsto adeguatamente la grave situazione di rischio nel DVR, a fronte di una prassi operativa che consentiva l’accesso all’area circostante il macchinario, da parte di ciascun operatore, attraverso una porta, la cui chiave era di norma inserita nella toppa o comunque a disposizione in loco; non avere previsto una procedura di sicurezza adeguatamente formalizzata e controllata per l’accesso all’interno della gabbia che circondava il macchinario che garantisse l’interruzione dell’alimentazione elettrica prima di procedere alla operazioni di pulizia”. Il tutto a fronte di “una illimitata possibilità di accesso all’area di azione della sega circolare in relazione alla necessità di ripulitura al termine di ogni turno di lavorazione e comunque ad una frequenza di accessi alta che concretizzava un grave e specifico rischio con una evidente pericolosità la cui evitabilità era rimessa sostanzialmente solo alla diligente osservanza da parte del singolo operatore di una procedura non codificata, limitata alla predisposizione della modalità manuale”.

La redazione giuridica

Hai vissuto una situazione simile? Scrivi per una consulenza gratuita a redazione@responsabilecivile.it o invia un sms, anche vocale, al numero WhatsApp 3927945623

Leggi anche:

Neoplasia peritoneale correlata ad attività lavorativa e risarcimento

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui