Respinto in Cassazione il ricorso relativo alla liquidazione del danno presentato dagli eredi di un uomo defunto per una neoplasia peritoneale correlata ad attività lavorativa

Con l’ordinanza n. 1406/2021 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso presentato dagli eredi di un uomo deceduto nel 2005 per neoplasia peritoneale correlata ad attività lavorativa di “conduttore elettrico” e poi “cabinista elettrico” svolta dal 1960 al 1992, contro la sentenza con cui la Corte di appello, in sede di rinvio, aveva liquidato loro la somma di euro 42.800 a titolo di danno biologico e di euro 21.400 a titolo di danno morale, per il pregiudizio subito dal congiunto.

La Corte territoriale, nello specifico, aveva rilevato l’erroneo richiamo, nei conteggi depositati dai ricorrenti, delle tabelle “da invalidità permanente” del Tribunale di Milano, anziché di quelle per “l’invalidità temporanea assoluta e totale” (trattandosi di lavoratore deceduto 7 mesi dopo la diagnosi).

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, i congiunti del defunto eccepivano che il Collegio distrettuale avrebbe dovuto calcolare il danno biologico sulla base delle tabelle del Tribunale di Milano per “l’invalidità permanente” e – ritenendo corretto il calcolo effettuato dal giudice di merito – il periodo di invalidità temporanea, assoluta e totale, avrebbe dovuto essere effettuato dalla data di cessazione del rapporto di lavoro (1992), rappresentando – la diagnosi di carcinoma effettuata nel 2005 – solamente il momento dell’aggravamento della patologia.

I ricorrenti, inoltre, deducevano che il Giudice a quo avesse trascurato, con riguardo al danno morale, la sovrumana sofferenza psichica a cui era stato sottoposto il de cuius nella consapevolezza dell’approssimarsi della morte.

Gli Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto le doglianze in parte inammissibili e in parte infondate.

Per la Cassazione, in ordine ai criteri di liquidazione applicati, la Corte di appello – che aveva considerato il periodo temporale intercorrente tra la data della diagnosi nefasta e quella della morte, applicando il valore massimo dell’indennità giornaliera previsto dalle tabelle del Tribunale di Milano, equitativamente aumentato di un importo aggiuntivo (convenzionalmente denominato “fattore 4”) – si era conformata all’orientamento di legittimità consolidato in base al quale “il danno subito dalla vittima, nell’ipotesi in cui la morte sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall’evento lesivo, è configurabile e trasmissibile agli eredi nella duplice componente di danno biologico “terminale”, cioè di danno biologico da invalidità temporanea assoluta, e di danno morale consistente nella sofferenza patita dal danneggiato che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita; la liquidazione equitativa del danno in questione va effettuata commisurando la componente del danno biologico all’indennizzo da invalidità temporanea assoluta e valutando la componente morale del danno non patrimoniale mediante una personalizzazione che tenga conto dell’entità e dell’intensità delle conseguenze derivanti dalla lesione della salute in vista del prevedibile “exitus””.

Invero – proseguono dal Palazzaccio – “esclusa da Cass. SS.UU. n. 15350 del 2015 la risarcibilità iure hereditatis di un danno da perdita della vita, questa Corte ha ritenuto configurabile e trasmissibile il danno subito dalla vittima nell’ipotesi in cui la morte sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall’evento lesivo nella duplice componente di danno biologico “terminale”, cioè di danno biologico da invalidità temporanea assoluta (…) e di danno morale consistente nella sofferenza patita dalla vittima che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita”.

Pertanto, erravano le parti ricorrenti allorquando lamentavano che la Corte territoriale avrebbe parametrato la liquidazione del danno all’invalidità temporanea assoluta nonché all’intervallo temporale tra la manifestazione della malattia e la morte ed avrebbe trascurato il danno morale; infatti la decisione, da un lato, era conforme all’indirizzo giurisprudenziale che commisura la componente del danno biologico “terminale” all’indennizzo da invalidità temporanea assoluta e, dall’altro, aveva provveduto a valutare la componente morale del danno non patrimoniale mediante una personalizzazione che aveva “espressamente tenuto conto della evoluzione della patologia e (del) grado di sofferenza patita, quindi scevra da automatismi e correlata alle circostanze del caso concreto, con criterio equitativo ragionevole la cui misura non è suscettibile di sindacato ad opera di questa Corte senza sconfinare in una sostituzione nell’apprezzamento riservato ai giudici del merito”.

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