Pubblicato dall’Istat il Report sulla Natalità e fecondità della popolazione residente relativo al 2018. Lo scorso anno i bambini iscritti in anagrafe sono stati poco meno di 440mila
Continua a diminuire la natalità nel nostro Paese: nel 2018 i bambini iscritti in anagrafe sono stati 439.747, oltre 18 mila in meno rispetto all’anno precedente e quasi 140 mila in meno nel confronto con il 2008. Il calo della natalità riguarda soprattutto i primi figli che si riducono a 204.883, 79 mila in meno rispetto al 2008. Il numero medio di figli per donna scende ancora attestandosi a 1,29; nel 2010, anno di massimo relativo della fecondità, era 1,46. L’età media alla nascita del primo figlio raggiunge i 31,2 anni nel 2018, quasi un anno in più rispetto al 2010. Sono alcuni dei dati contenuti nell’ultimo Report sulla Natalità e fecondità della popolazione residente- Anno 2018 pubblicato dall’Istat.
Una tendenza negativa – afferma l’Istituto – che non evidenzia segnali di inversione: secondo i dati provvisori riferiti al periodo gennaio-giugno 2019, le nascite sono già quasi 5 mila in meno rispetto allo stesso semestre del 2018. Nell’arco degli ultimi dieci anni le nascite sono diminuite di 136.912 unità, quasi un quarto (il 24% in meno) rispetto al 2008. Questa diminuzione è attribuibile esclusivamente alle nascite da coppie di genitori entrambi italiani (343.169 nel 2018, quasi 140 mila in meno nell’ultimo decennio).
Si tratta – precisa l’Istat – di un fenomeno di rilievo, in parte dovuto agli effetti ‘strutturali’ indotti dalle significative modificazioni della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni.
In questa fascia di popolazione, le donne italiane sono sempre meno numerose: da un lato, le cosiddette babyboomers (ovvero le donne nate tra la seconda metà degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta) stanno uscendo dalla fase riproduttiva (o si stanno avviando a concluderla); dall’altro, le generazioni più giovani sono sempre meno consistenti.
Queste ultime scontano, infatti, l’effetto del cosiddetto baby-bust, ovvero la fase di forte calo della fecondità del ventennio 1976-1995, che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995. A partire dagli anni duemila l’apporto dell’immigrazione, con l’ingresso di popolazione giovane, ha parzialmente contenuto gli effetti del baby-bust; tuttavia questo effetto – sottolinea ancora l’Istituto – sta lentamente perdendo la propria efficacia man mano che invecchia anche il profilo per età della popolazione straniera residente. Al primo gennaio 2019 le donne residenti in Italia tra 15 e 29 anni sono poco più della metà di quelle tra 30 e 49 anni. Rispetto al 2008 le donne tra i 15 e i 49 anni sono oltre un milione in meno.
Un minore numero di donne in età feconda (anche in una teorica ipotesi di fecondità costante) comporta, in assenza di variazioni della fecondità, meno nascite.
Questo impatto può essere stimato – spiega l’Istat – applicando alla popolazione media del 2018 i livelli di fecondità relativi al 2008 (espressi mediante i tassi di fecondità specifici per età). In questo modo si otterrebbero oltre 485 mila nati per il 2018; confrontando questo valore con i 576.659 nati del 2008, risulterebbe un gap di circa 92 mila nascite imputabile unicamente alla variazione di ammontare e di struttura per età della popolazione femminile in età feconda. Questo fattore è responsabile per circa il 67% della differenza di nascite osservata tra il 2008 e il 2018. La restante quota dipende invece dalla diminuzione della fecondità da 1,45 figli per donna a 1,29.
Continuano a diminuire le nascite all’interno del matrimonio (297.768), quasi 19 mila in meno rispetto all’ultimo anno, 166 mila in meno rispetto al 2008. Ciò è dovuto anche al forte calo dei matrimoni che si è protratto fino al 2014, anno in cui sono state celebrate appena 189.765 nozze, per poi proseguire con un andamento altalenante che vede nel 2018, anno in cui sono stati celebrati 195.778 matrimoni, un lieve aumento (+4.500) rispetto al 2017.
Leggi anche:
DENATALITÀ, ALLARME SIN: DI QUESTO PASSO WELFARE INSOSTENIBILE