Assumono rilievo al fine di escludere il riconoscimento del diritto all’assegno di divorzio alla parte richiedente, le attribuzioni patrimoniali fatte dall’ex coniuge in adempimento degli obblighi assunti con gli accordi di separazione
La vicenda
Con atto depositato dinanzi al Tribunale di Perugia il ricorrente aveva chiesto la cessazione degli effetti civili del matrimonio da lui contratto con la moglie e l’esclusione del diritto di quest’ultima all’assegno divorzile.
A tal riguardo, l’uomo assumeva di aver adempiuto all’obbligo previsto dall’art. 3 delle condizioni di separazione, ossia quello di trasferire alla moglie la propria quota di proprietà di ½ sull’immobile situato in Francia e la proprietà di un’autovettura, nonché alle obbligazioni, previste dal successivo art. 4, di corrispondere alla predetta la somma complessiva di 43.000,00 euro e provvedere al pagamento dei premi dell’assicurazione a lei intestata, così tacitando qualsiasi pretesa, patrimoniale e non patrimoniale derivante dal matrimonio e dalla vita comune.
Alla domanda di divorzio aderiva l’ex moglie, alla quale tuttavia aggiungeva la richiesta di un assegno di mantenimento in suo favore, essendo da tempo disoccupata e impossibilitata nel trovare una nuova occupazione. Inoltre, le statuizioni assunte in sede di separazione– a sua detta – non potevano costituire alcuna rinuncia all’assegno divorzile; al contrario, tale accordo doveva considerarsi nullo per illiceità della causa stante la natura assistenziale dell’assegno, notoriamente posto a tutela del coniuge più debole.
Il giudizio dinanzi al Tribunale di Perugia
Dopo aver messo in evidenza le diversità sostanziali tra contributo di mantenimento in favore del coniuge separato e l’assegno divorzile, il Tribunale di Perugia (sentenza n. 1726/2019) è giunto ad affermare che gli accordi disciplinanti “le condizioni di separazione” tra le parti, con cui le stesse hanno dichiarato di essere “economicamente autosufficienti”, nonché “di godere ognuno di redditi adeguati a soddisfare le proprie esigenze” non possono ritenersi nulli per illiceità della causa – come dedotto dalla resistente -, essendo libera espressione della loro autonomia negoziale nella sfera economico patrimoniale e avendo ad oggetto diritti patrimoniali disponibili; ma al contempo, essendo questi diretti a regolamentare gli obblighi inter partes in ragione e in conseguenza della separazione, essi non possono che limitare la loro efficacia temporale esclusivamente al periodo della separazione personale, e quindi non possono incidere in alcun modo sull’eventuale nuova insorgenza di obblighi reciproci successivamente alla pronuncia di divorzio in presenza dei presupposti per il loro riconoscimento. Ed infatti non solo la natura ma anche la causa di tali doveri è totalmente differente rispetto a quella che legittima il riconoscimento di obblighi di mantenimento nel corso della separazione perché diversa ne è la fonte giuridica: ciò li rende del tutto autonomi dagli altri e inseribili alle loro vicende.
Da tempo, il fondamento dell’assegno divorzile è stato individuato nel dovere inderogabile di solidarietà economica sancito dall’art. 2 Cost., letto in relazione all’art. 23 Cost., il cui adempimento è a carico di entrambi gli ex coniugi considerati quali “persone singole”; esso dunque, non presuppone lo status di coniuge ma è diretto alla tutela della persona economicamente più debole.
La valutazione del diritto all’assegno di divorzio del congiuge richiedente
Ne deriva che la sussistenza di tale dovere sia insensibile ai pregressi accordi patrimoniali intercorsi tra le parti in sede di separazione, i quali proprio perché diretti a regolare un rapporto avente diversa natura, hanno una causa di giustificazione del tutto differente.
Ciò ha reso meritevole di attenzione la richiesta della resistente in ordine al suo diritto a tale contributo economico.
Ebbene al riguardo il Collegio ha ricordato che dopo l’ultimo arresto giurisprudenziale in materia di assegno divorzile (Sezioni Unite Civili, sentenza n. 18287/2018) , il compito del giudice di merito è quello di verificare: a) se vi è rilevante disparità tra la situazione economica precedente al divorzio e quella successiva dipendente da scelte di condizione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con sacrificio delle aspettative professionali e reddituali della parte richiedente, in funzione dell’assunzione di un ruolo rilevante all’interno della famiglia, tenuto anche conto della durata del rapporto e delle effettive potenzialità professionali e reddituali; b) se vi è impossibilità da parte del coniuge richiedente di procurarsi mezzi economici equiparabili a quelli avuti in costanza di matrimonio come conseguenza delle predette scelte condivise durante il matrimonio.
Il caso specifico
Per espresso volere del coniuge, la donna aveva dichiarato di non aver mai svolto alcuna attività lavorativa potendo già permettersi un alto tenore di vita grazie ai due emolumenti percepiti dal marito; perciò si era sempre occupata della casa e delle faccende domestiche; tuttavia al momento della pronuncia di divorzio, ella aveva ormai raggiunto l’età di 60 anni ed era impossibilitata nel trovare una nuova occupazione sia per non aver avuto significative esperienza lavorative in passato, sia per la difficoltà di trovare un lavoro in Francia dove viveva, pur non essendo cittadina francese.
Ebbene, di tali circostanze il Tribunale di Perugia ne aveva tenuto conto; tuttavia, dal materiale istruttorio non era stato possibile verificare con esattezza i rispettivi redditi delle parti, non essendo state prodotte le relative dichiarazioni aggiornate. Ciò ha impedito al giudice del divorzio di dichiarare con certezza che la resistente non disponesse dei mezzi adeguati per il proprio sostentamento.
La decisione
Al più, ha affermato il Tribunale, «si può ipotizzare solo un parziale riequilibrio della sua condizione reddituale in relazione a quella del marito, sicuramente superiore, per compensarla dell’apporto materiale e morale dato per circa un quindicennio allo svolgimento della vita coniugale, – di cui il partner aveva certamente beneficiato nella realizzazione della propria personalità e nel conseguimento dei suoi successi professionali – sacrificando le proprie legittime aspettative professionali. È questo l’unico profilo in grado di giustificare la permanenza di una forma di vincolo di solidarietà economico-patrimoniale posto a carico dell’ex marito».
Ebbene, a tal riguardo, il Collegio, ha reputato “sufficienti a riequilibrare in concreto le disparità reddituali tra le parti e a ristorare in termini congrui la ricorrente dell’apporto affettivo e morale fornito in costanza di matrimonio ai successi e allo sviluppo dell’attività professionale del marito”, le attribuzioni patrimoniali fatte da quest’ultimo (il trasferimento della propria quota di proprietà di una casa in Francia e di una autovettura, nonché il versamento della somma complessiva di 43 mila euro) in suo favore, in adempimento dei richiamati accordi di separazione. Per tali motivi è stata rigettata la sua domanda di assegno divorzile.
La redazione giuridica
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