È stata cassata con rinvio la decisione della corte d’appello che nel liquidare il danno subito dai familiari di una giovane vittima deceduta in incidente stradale, non aveva tenuto conto dell’aggiornamento delle tabelle milanesi ma aveva basato il proprio giudizio su quelle ormai superate

La vicenda

Gli eredi di una giovane vittima deceduta in seguito ad un incidente stradale, avevano agito in giudizio per il risarcimento del danno contro il conducente, il proprietario e l’assicurazione del veicolo investitore. L’incidente si era verificato mentre la donna era a bordo, quale terza trasportata, della vettura investita dall’auto del convenuto.

All’esito del giudizio di primo grado, l’adito tribunale pronunciava sentenza di condanna al risarcimento dei danni sia iure proprio che iure hereditatis chiesti dagli attoria carico dei convenuti, poiché ritenuti unici responsabili del sinistro.

Contro la decisione, proponeva appello la società assicurativa lamentando una stima eccessiva del risarcimento riconosciuto ai congiunti e la Corte di Appello di Firenze, in riforma della decisione di primo grado, riduceva gli importi, ordinando ai danneggiati la restituzione delle somme percepite in eccesso.

Il ricorso per Cassazione

Contro la sentenza conclusiva del giudizio d’appello, i familiari della vittima hanno proposto ricorso per cassazione lamentando il fatto che la corte fiorentina avesse rifiutato di applicare le tabelle aggiornate, in corso di causa, ed avesse basato il proprio giudizio su quelle non più valide.

Nella specie, il giudice di primo grado aveva fatto applicazione delle tabelle del 2008, che però in pendenza del giudizio d’appello, erano state sostituite con tabelle più aggiornate (quelle del 2014). Ciò, a detta dei ricorrenti, avrebbe comportato un vizio di valutazione del danno, censurabile come violazione di legge.

Il risarcimento del danno secondo le tabelle milanesi

Il motivo è stato accolto. Secondo una regola fissata dalla Suprema Corte (Sesta Sezione Civile, sentenza n. 30392/2019): «in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, quando all’esito del giudizio di primo grado, l’ammontare del danno alla persona sia stato determinato secondo il sistema “tabellare”, la sopravvenuta variazione – nelle more del giudizio d’appello – delle tabelle utilizzate legittima il soggetto danneggiato a proporre impugnazione, per ottenere la liquidazione di un maggiore importo risarcitorio, allorquando le nuove tabelle prevedano l’applicazione di differenti criteri di liquidazione o una rideterminazione del valore del “punto-base” in conseguenza di una ulteriore rivalutazione statistica dei dati sull’ammontare dei risarcimenti liquidati  negli uffici giudiziari, atteso che, in questi casi, la liquidazione effettuata sulla base di tabelle non più attuali si risolve in una non corretta applicazione del criterio equitativo previsto dall’art. 1226 c.c.» (Cass. n. 25485/2016; Cass. n. 22265/2018).

In altre parole, la corte d’appello, non avendo tenuto conto dell’aggiornamento delle tabelle, al momento in cui doveva decidere, ed avendo invece fatto riferimento a quelle ormai superate, non aveva fatto corretta applicazione del criterio equitativo nella stima del danno.

Peraltro, la questione era stata portata all’attenzione della corte distrettuale dai ricorrenti, i quali avevano allegato agli atti difensivi le nuove tabelle di riferimento.

Non è stato invece, accolto il ricorso relativo al mancato riconoscimento del danno morale terminale in aggiunta a quello biologico (terminale).

Come noto – hanno affermato gli Ermellini – «una cosa è il danno biologico terminale che è liquidabile iure hereditatis, ove vi sia stata una sopravvivenza della vittima oltre le 24 ore, tempo convenzionalmente stimato perché il diritto al risarcimento “entri” nel patrimonio del danneggiato e si possa quindi trasmettere agli eredi, e tale danno si liquida a prescindere dalla incoscienza della vittima, trattandosi di una lesione oggettiva della salute, che rileva in quanto tale anche se non è percepibile dal danneggiato ed è un danno che si liquida in termini di invalidità temporanea; altro è il danno morale cosiddetto terminale, che invece, presuppone uno stato di coscienza della vittima, proprio perché consiste nella sofferenza dovuta alla consapevolezza della gravità delle lesioni».

Ebbene, nel caso in esame, non vi era stata prova dello stato cosciente della vittima, la quale al momento del decesso era in stato vegetativo, e perciò la corte territoriale aveva correttamente escluso il danno morale terminale, liquidando solo il diverso danno biologico con il criterio della invalidità permanente.

In definitiva, il ricorso è stato accolto nei termini indicati e la sentenza cassata con rinvio al giudice dell’appello che dovrà nuovamente stimare il risarcimento agli eredi della vittima tenendo conto delle tabelle aggiornate (2014) anche per quanto riguarda il danno biologico terminale.

Avv. Sabrina Caporale

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