Il medico, condannato in primo grado a quattro mesi di reclusione, per la Corte d’Appello agì nel pieno rispetto dei protocolli sanitari e delle regole deontologiche

Nel dicembre del 2015 era stata condannata a quattro mesi di reclusione per cooperazione in omicidio colposo con il beneficio della sospensione condizionale della pena. Il Tribunale di Bari l’aveva infatti ritenuta responsabile per la morte di un bambino di un anno e mezzo, deceduto per un’emorragia toracica presso l’Ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari. E’ quanto accaduto a un’anestesista in servizio all’epoca dei fatti, nel 2007, presso il reparto di anestesia e rianimazione della struttura pugliese.

Il piccolo, ricoverato con una  diagnosi di encefalopatia epilettica, era stato sottoposto a un intervento chirurgico finalizzato a reperire un accesso venoso per somministrare alimenti ed eseguire prelievi di sangue. L’intervento non sarebbe riuscito: nel tentativo di incapsulare le vene del collo, quando ormai le condizioni del paziente erano critiche, l’anestesista avrebbe perforato la cupola pleurica provocando una emorragia che avrebbe poi causato la morte del paziente per “insufficienza respiratoria acutissima da emotorace”.

Le indagini successive al decesso avevano portato al rinvio a giudizio di 4 medici, tra cui, oltre all’anestesista, il primario di Neurochirurgia, assolto ‘per non aver commesso il fatto’ e altri due medici chirurghi anch’essi prosciolti dalle accuse con rito abbreviato.

Nelle scorse ore, a distanza di 9 anni dal tragico incidente e di ventiquattro mesi dalla sentenza di primo grado, la seconda sezione penale della Corte d’Appello di Bari ha ribaltato quella decisione accogliendo le tesi difensive dei legali della donna e assolvendo il camice bianco con la formula “perché il fatto non sussiste”. Secondo i giudici di secondo grado, infatti, il medico agì nel pieno rispetto dei protocolli sanitari e delle regole deontologiche della sua professione e comunque non ebbe alcuna responsabilità nel decesso del bambino.

 

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