È obbligo del datore di lavoro predisporre un sistema organizzativo idoneo a consentire al lavoratore di allontanarsi dalla propria postazione per soddisfare un bisogno primario, non controllabile, né preventivabile, come quello di recarsi ai servizi igienici

La vicenda

Il ricorrente aveva esposto che durante il proprio turno di lavoro, avendo avvertito il bisogno di recarsi ai servizi igienici, aveva azionato il dispositivo di chiamata/emergenza al fine di potersi allontanare dalla postazione di lavoro nel rispetto della procedura; non avendo ricevuto alcuna risposta, lo stesso aveva provveduto ad azionare anche il dispositivo di chiamata/emergenza della postazione vicina, ma anche in questo caso, con esito negativo; neppure alla domanda di autorizzazione posta ai team leader che si trovavano nei pressi della sua postazione otteneva risposta positiva; perciò giunto allo stremo decideva di allontanarsi ugualmente per correre verso i servizi igienici, ma senza evitare di minzionarsi nei pantaloni.

Ciononostante, l’operaio riprendeva immediatamente il suo lavoro, chiedendo di potersi cambiare in infermeria, ma anche tale permesso gli veniva negato. Riusciva a cambiarsi soltanto durante la pausa alle ore 18 presso il cosiddetto box lite, al cospetto di tutti i lavoratori vicini, donne comprese.

A causa di tali fatti, confermati da alcuni testimoni, l’uomo aveva lamentato uno stato ansioso e depressivo con riflessi negativi sul suo stile di vita e la necessità di ricorrere a cure psicologiche. Di qui il ricorso al giudice del lavoro e la richiesta di risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza dell’illegittimo comportamento datoriale lesivo della propria dignità personale.

La tutela della integrità psico-fisica del lavoratore

Com’è noto, nell’ambito del rapporto di lavoro, vengono in rilievo i diritti della persona del lavoratore che, già tutelati dal codice del 1942, sono assurti in virtù della Costituzione, grazie all’articolo 32 Cost., quanto alla tutela dell’integrità fisica, e agli articoli 1. 2. 4 e 35 quanto alla tutela della dignità personale del lavoratore, a diritti inviolabili, la cui lesione dà luogo a risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali, di tipo esistenziale, da inadempimento contrattuale.

Si verte, in sostanza, in un’ipotesi di risarcimento dei danni non patrimoniali in ambito contrattuale, legislativamente prevista.

Nel caso di specie era pacificamente emerso che il datore di lavoro avesse omesso di adottare tutte le misure idonee a salvaguardare la personalità morale dei prestatori di lavoro, in particolar modo, avesse omesso di predisporre un sistema organizzativo idoneo a consentire al lavoratore di allontanarsi dalla propria postazione per soddisfare un bisogno primario, non controllabile, né preventivabile, quale quello di recarsi ai servizi igienici, anche qualora tutti i dipendenti addetti alle sostituzioni fossero stati impossibilitati.

Il risarcimento del danno biologico

Il lavoratore aveva lamentato uno stato ansioso e depressivo quale conseguenza dello spiacevole episodio; tuttavia, egli si era limitato a darne atto apoditticamente, senza fornire riscontri processuali mediante produzione dell’indispensabile documentazione sanitaria a supporto della domanda.

Sotto questo profilo la sua istanza non poteva certamente trovare accoglimento.  Tuttavia, i giudici della Suprema Corte (Sezione Lavoro, sentenza n. 111/2019) hanno evidenziato che “il danno non patrimoniale può essere provato anche da presunzioni semplici alle quali il giudice può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale da lui detenuto”.

La decisione

Una volta provata la lesione, risarcimento e liquidazione del danno patito possono avvenire anche in via equitativa in ragione del carattere strettamente personale del diritto leso e della conseguente impossibilità di dimostrare in concreto l’entità del danno, senza che siano necessarie particolari dimostrazioni da parte del danneggiato, ai sensi dell’articolo 2059 c.c. A tal proposito, la valutazione equitativa dovrà tener conto della gravità oggettiva del fatto, desumibile dalle modalità concrete della condotta illecita e della portata offensiva della stessa.

Ebbene, nel caso di specie era pacifico, alla luce degli elementi probatori raccolti in ordine alla gravità oggettiva del fatto e sulla base di un ragionamento presuntivo, che il datore di lavoro avesse arrecato concreto e grave pregiudizio alla dignità personale, all’onore e alla reputazione del lavoratore, consistita nell’evidente imbarazzo di essere osservato dai colleghi di lavoro con i pantaloni bagnati per essersi minzionato addosso.

Avv. Sabrina Caporale

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