Omessa comunicazione di referto istologico positivo e decesso del paziente

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Nonostante la mancata comunicazione del referto istologico, la CTU ha escluso ogni profilo di responsabilità dell’Azienda Ospedaliera (Cassazione Civile, sez. III, 22/05/2024, n.14240).

La vicenda

La Corte di Appello di Palermo ha confermato la decisione del Tribunale di Agrigento che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti della Azienda Ospedaliera, al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni patiti in conseguenza del decesso del paziente attribuito alla omessa comunicazione di referto istologico positivo.

Nello specifico, il paziente veniva sottoposto a laparotomia esplorativa il 24/2/2009 presso l’Ospedale S. Giovanni di Dio di Agrigento, per poi apprendere tardivamente, soltanto nell’ottobre dello stesso anno, e in occasione di altro intervento chirurgico presso altra struttura sanitaria, di essere affetto da “adenocarcinoma al colon”, patologia che lo conduceva alla morte il 1 dicembre 2009.

Le osservazioni della Corte siciliana

  • a) il Tribunale, pur avendo ravvisato “profili di responsabilità dell’Azienda sanitaria … nella mancata comunicazione dell’esito dell’esame istologico al paziente e/o ai familiari”, aveva, comunque, “in linea con quanto affermato dal CTU, … correttamente escluso ogni profilo di responsabilità dei sanitari della chirurgia dell’Azienda Ospedaliera” convenuta.
  • b) In ordine al primo profilo, oggetto di appello incidentale dell’Azienda Ospedaliera, non era, però, condivisibile la decisione del primo giudice, poiché sulla “scorta delle risultanze acquisite in primo grado, (poteva) senz’altro ritenersi raggiunta la prova dell’avvenuta comunicazione dell’esito dell’esame anatomo-patologico (neoplasia stenosante con i caratteri di una neoplasia maligna e metastasi linfonodali diffuse), attestante la malattia tumorale diagnosticata al paziente”.
  • b.1) In tal senso, il primario del reparto di chirurgia generale aveva dichiarato “di aver parlato con qualcuno dei familiari”, sebbene non ricordasse con chi avesse esattamente interloquito”, nonché di aver appreso dal infermiere addetto all’archivio del reparto, che anche lui aveva “contattato i familiari tramite un numero di telefono indicato in cartella”. 
  • b.2) Sulla scorta delle anzidette deposizioni era, dunque, “dimostrata l’avvenuta comunicazione dell’esito dell’esame”, di cui vi era, peraltro, “prova positiva che il paziente fosse a conoscenza, allorquando si rivolse alla Casa di Cura (periodo dal 3 al 15 ottobre 2009) a causa di continui dolori addominali” e dove venne sottoposto “a nuovo intervento chirurgico di laparatomia”, poiché nella cartella clinica di quel ricovero “risulta esplicito in riferimento a una pregressa diagnosi di “adenocarcinoma scarsamente differenziato G3” e tale “annotazione anamnestica conduce alla conclusione logica che il paziente fosse stato informato dell’esito dell’esame anatomo-patologico.
  • c) Pertanto, la responsabilità per tutti i danni lamentati dall’appellante era da addebitarsi allo stesso paziente, il quale, benché a conoscenza delle risultanze del sospetto diagnostico, non si è presentato volontariamente alle successive visite di controllo programmate già al momento delle sue dimissioni (in data 17/03/2009)”.

Il giudizio di Cassazione

Secondo la tesi dei familiari, la Corte siciliana non avrebbe correttamente valutato le prove acquisite in primo grado (il riferimento è alle prove testimoniali) e ne avrebbe completamente travisato il contenuto giungendo a delle valutazioni in evidente contrasto con le prove stesse. Inoltre, sarebbe stato travisato anche il contenuto della CTU, da cui si evince soltanto che “non è dato sapere se tali notizie (ossia, l’annotazione anamnestica “adenocarcinoma scarsamente differenziato G3″ presente nella cartella clinica del ricovero dell’ottobre 2009) siano state attinte dai sanitari della casa di cura, dal paziente, o direttamente dai sanitari dell’ospedale di Agrigento, come sembrerebbe indicare la presenza in cartella di un fax di invio del precedente referto istologico”.

Quanto censurato è inammissibile. Non è stata impugnata l’ulteriore ratio decidendi che sorregge la sentenza di appello e cioè l’esclusa responsabilità della ASP di Agrigento per insussistenza del nesso causale tra “l’asserito inadempimento e il decesso del paziente”. Ratio, autonoma e idonea di per sé a sorreggere la decisione di rigetto della domanda risarcitoria attorea.

Sul punto la S.C. rammenta il consolidato principio secondo cui il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti.

Avv. Emanuela Foligno

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