L’anticipazione diagnostica non avrebbe mutato la prognosi che migliora con 20 -30% remissioni in 5 anni, ma qui le metastasi erano multiple fin dall’inizio (Corte d’Appello di Genova, Sez. II, Sentenza n. 820/2021 del 19/07/2021 RG n. 949/2018)

Veniva citata a giudizio l’ Azienda Ospedaliera Universitaria al fine di accertarne e dichiararne la responsabilità nella determinazione dell’evento lesivo e conseguentemente condannarla all’integrale risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, patiti da parte attrice. Esponeva parte attrice che nel gennaio 2009, a seguito di persistenza di sintomatologia crampiforme ed algie addominali, evacuazioni ogni 4 -5 gg. e stillicidio ematico, si rivolgeva all’Azienda Sanitaria convenuta che diagnosticava emorroidi di III – IV grado e successivamente veniva sottoposta ad intervento chirurgico; che il giorno 22/4/2009, avendo registrato una riacutizzazione della sintomatologia, si rivolgeva al Pronto Soccorso ove veniva diagnosticata “presenza di neoformazione vegetante sanguinante aggettante nell’ampolla rettale”, con conseguente immediato ricovero; che in data 27/4/2009 veniva eseguito intervento chirurgico di “emicolectomia sinistra ” in occasione del quale veniva rilevata una neoformazione del sigma refertata, a seguito di esame istologico, come “adenocarcinoma del colon sinistro (neoplasia vegetante che interessa i 2/3 del lume e si estende longitudinalmente per centimetri cinque)”, che nel corso dei mesi di dicembre 2009 e gennaio 2010, a seguito di esami strumentali, venivano diagnosticate lesioni secondarie plurime anche in sede epatica e malattia tumorale ano – rettale; che in conseguenza di tale patologia, dopo aver seguito un ciclo di radioterapia, nel maggio 2010, eseguiva due interventi chirurgici presso IST per asportazione della neoplasia rettale e per il trattamento delle metastasi epatiche; che veniva sottoposta, tra il luglio e l ‘agosto 2010, a quattro cicli chemioterapici.

In corso di causa si verificava il decesso della parte attrice dell’attrice e il giudizio veniva riassunto dal marito e dai figli.

Il Tribunale rigettava le domande di parte attrice, dichiara interamente compensate fra le parti le spese di lite e poneva definitivamente le spese di C.T.U. a carico delle parti in solido.

Gli eredi del paziente deceduto interpongono appello, deducendo: l’errata valutazione della logicità della CTU, in rapporto alla contraddizione tra Consulente d’Ufficio e Consulente oncologico; l’erronea valutazione in merito al consenso informato; l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie e la carenza di motivazione in ordine al rigetto delle istanze istruttorie ed al rigetto della domanda di risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale; l’erroneità della sentenza nel ravvisare l’assenza di responsabilità dei sanitari secondo il criterio del più probabile che non; l’erroneità della parte finale della motivazione, laddove non considerava le conclusioni della CTU; l’erronea compensazione delle spese di lite.

Con il primo motivo gli appellanti deducono l’errata valutazione della logicità della CTU, in rapporto alla contraddizione tra ctu e consulente oncologico.

Nello specifico, lamentano che la sentenza, per escludere la colpa dei sanitari si sia basata su un dato, rinvenibile solo nella consulenza oncologica e non avallato dal CTU, vale a dire che la neoformazione a livello del colon retto, repertata nell’aprile 2009 al PS non fosse un tumore primitivo, bensì un’invaginazione del sigma, protrattasi per 60 cm dalla propria sede naturale a ridosso della linea ano -cutanea, circostanza che l’oncologo ha ritenuto invece idonea a nascondere una lesione minimale.

Con il con il terzo motivo gli appellanti si dolgono della carente motivazione in ordine al rigetto delle istanze istruttorie formulate ai fini del risarcimento del danno biologico, morale ed assistenziale e dell’erronea valutazione delle risultanze istruttorie.

Con il quinto motivo viene in rilievo l’asserita erroneità della sentenza nella parti in c ui ravvisa, secondo il criterio del più probabile che non, la mancanza di responsabilità medica.

Con il settimo motivo si contesta che la sentenza di primo grado abbia preso in considerazioni le conclusioni dell’oncologo, ausiliaro del ctu, prof Brema.

Innanzitutto gli appellanti sottolineano: che il CTU ha dato atto di non condividere l’affermazione dell’oncologo circa l’assenza completa ed assoluta di carenze diagnostiche; che il ctu ha indicato la neoplasia del retto come misconosciuta nel gennaio 2009 ed ignorata nell’aprile 2009, quando era già di 2 -3 cm di diametro; che in tale data la biopsia effettuata rilevava la presenza di adenocarcinoma del retto.

A sostegno del proprio assunto rilevano che nel caso di presenza di emorroidi che sanguinano, avrebbero dovuto espletarsi tutti gli accertamenti del caso, per escludere cause diverse dalla patologia benigna.

La Corte riassume i fatti, come ricostruiti dalla CTU:

L’attrice affetta da turbe dell’alvo, alla fine del 2008 notava la comparsa di sangue nelle feci.

Nel gennaio 2009 si rivolgeva direttamente allo Specialista in Chirurgia Generale e in Chirurgia dell”Apparato Digerente – Endoscopia Digestiva, direttore di U.O. complessa di Chirurgia Generale, Specializzazione Malattie Colon Retto ed Ano dell’Azienda Ospedaliera. Il Professore diagnosticava emorroidi di III e IV grado.

La paziente veniva ricoverata il 16 gennaio 2009 in Day Surgery presso l’U.O. di Chirurgia Generale con orientamento specifico per le malattie del Colon Retto dell’Azienda Ospedaliera Universitaria, e qui sottoposta il 21.01.2009 ad intervento di Emorroidectomia sec. Milligan/Morgan.

Veniva dimessa il giorno successivo e in seguito si sottoponeva a visite ambulatoriali. Dopo l’intervento la paziente continuava ad avere perdite e stillicidio ematico con l’evacuazione.

La sera del 22 aprile 2009, per alvo chiuso da tre giorni, vomito e addominoalgie, si rivolgeva al Pronto Soccorso ove il medico di turno rilevava ” la presenza di neoformazione vegetante sanguinante aggettante nell’ampolla rettale” per la quale richiedeva visita specialistica chirurgica.

Il 24 aprile veniva tentata una colonscopia che dimostrava: “subito a ridosso della linea ano – cutanea si evidenzia una neoformazione rilevata rotondeggiante di circa 2 -3 cm di diametro su cui si eseguono biopsie. Prossimalmente a tale lesione la mucosa si presenta edematosa tanto da ostruire il lume e non consentire la progressione dello strumento. Tale immagine occupa solo un terzo della circonferenza e non si individua il limite superiore in quanto la sonda risale sol o fino a circa 15 cm e non oltre per la sub stenosi descritta sopra. Si consiglia TC urgente”.

L’esame istologico pose diagnosi di adenocarcinoma del retto. L’esame TC dell’addome superiore e inferiore senza e con contrasto e la TC del fegato, subito eseguiti, dimostrarono una ” invaginazione di un’ansa ileale distale e del suo meso attraverso la parete del sigma che si estrinseca nel lume del retto e iniziali segni di sofferenza di parete del”ansa ileale. Non lesioni solide a sede epatica (angioma in S7 di 20 mm), splenica, pancreatica e renale”.

Il 27.04.2009 la paziente veniva operata di emicolectomia sinistra con colon -ettoanastomosi con diagnosi operatoria di: ” invaginazione sigmoidorettale adenocarcinoma sigma”. Con l’esame istologico veniva fatta diagnosi di adenocarcinoma del colon sinistro. Assenza di metastasi nei linfonodi loco regionali. UICC: pT2G2pNO. Veniva dimessa il 7 maggio 2009. Il 2 dicembre 2009 presso la U.O.C. Gastroenterologia ed Endoscoipia Digestiva veniva praticata una colonscopia che rilevava: ” esiti di resezione colica con ricostruzione del transito mediante anastomosi colorettale. Al retto, al discendente e al colon destro si asportano tre polipi sessili. Non si osservano altre formazioni. Si richiede controllo endoscopico entro sei mesi.”

Il 12 febbraio 2010 veniva eseguita, una rettosigmoidoscopia che evidenziava: ” in retroflessione, in sede sovraanale, si osserva neoformazione ulcerata e sanguinante che all’esame istologico si dimostra un adenocarcinoma”. Il 19.02.2010 una RM dell’addome dimostrava la presenza nel fegato di alcune nodulazioni di 16 mm massimo con caratteristiche di focalità e una RM del 23.02.2010 evidenziava una neoformazione di 1,6 x 8 mm a livello della parete laterale destra del canale anale -retto. 4 gennaio 2010 veniva eseguita TC del torace e dell’addome presso la U.O.C. Radiologia Interventistica che dimostrava: ” la comparsa di tre lesioni nodulari ipodense di 17 e 6 mm al IV e di 11 mm al III segmento verosimilmente riferibili a lesioni secondarie”.

Il 2 febbraio 2010 un esame PET evidenziava ” due aree di moderato iperaccumulo del tracciante in sede epatica in corrispondenza del III e IV segmento; tali reperti appaiono suggestivi per la presenza di malattia”. 16 febbraio 2010 adenocarcimoma in sede sovraanale 11 marzo 2010 neoplasia è ipotizzabile già presente nella colonscopia del 2.12.2009Il ritardo si tre mesi nulla ha mutato alla luce della presenza delle metastasi epatiche. Seguono negli anni interventi accertamenti fino al decesso avvenuto il 19.8.2014.

La CTU così si esprime: “Preso atto del parere dello specialista oncologo, ritengo di poter condividere solo in parte la sua affermazione di assenza completa e assoluta di carenze diagnostiche al momento del primo ricovero della paziente per asportazione di emorroidi di III e IV grado. Ritengo di non potere escludere che una indagine più accurata avrebbe potuto condurre ad una diagnosi della seconda neoplasia in tempi più anticipati. Il Professore, primo chirurgo che ebbe in cura la paziente, constatava la presenza di emorroidi ed attribuiva ad esse l’origine della proctorragia senza disporre ulteriori accertamenti, a maggior ragione trattandosi di una donna di 55 anni con peggioramento della stipsi e stillicidio ematico rettale per il quale la colonscopia sarebbe stata determinante ed avrebbe portato alla diagnosi di neoplasia del colon con tre mesi di anticipo, permettendo un intervento di elezione, anziché un intervento d’urgenza per un quadro subocclusivo. La neoplasia del retto, misconosciuta nel gennaio 2009 ed ignorata nell’aprile 2009, era difficilmente visibile e diagnosticabile per una invaginazione del sigma nel retto che ha nascosto una lesione neoplastica di dimensioni minimali. Il comportamento biologico delle neoplasie della signora non è stato particolarmente aggressivo e rapido. Nei successivi sei mesi dalla diagnosi le lesioni non hanno di fatto subito rilevanti modificazioni di volume. E’ difficile stabilire se le suddette lesioni fossero partite dalla neoplasia rettale o da quella colica operata ad aprile 2009 . Per ciò che riguarda il mancato trattamento immediato della neoplasia rettale, i benefici che si attendono da un tempestivo trattamento (sia chirurgico che radiante che chemioterapico) riguardano il miglioramento dell’intervallo libero da recidiva di malattia e l’evitare o ritardare la recidiva locale, che nel caso della perizianda ha comportato la necessità di due ulteriori interventi chirurgici nonché un peggioramento del periodo libero da malattia e della qualità della vita. Si tratta di riduzione di chance piuttosto che specificamente di una maggiore durata in mesi della sopravvivenza. Una valutazione globale del decorso della malattia tumorale della signora indica che la durata della vita della paziente di 5 anni circa dal momento del riscontro del carcinoma del sigma è stata superiore a quella attesa di 30 mesi circa. Il ritardo di alcuni mesi nel diagnosticare la neoplasia, successiva temporalmente rispetto a quella del sigma, non ha mutato la prognosi, essendo la stessa condizionata dalle metastasi epatiche riscontrate nel gennaio 2010: date le loro dimensioni, è corretto ritenere che fossero già presenti da molti mesi, probabilmente dal momento della resezione del sigma. E’ stata quindi trattata correttamente la neoplasia del sigma, ma si è ignorata la neoplasia del retto. Una colonscopia eseguita almeno tre mesi prima avrebbe evidenziato le due neoplasie .”

Ed ancora, “l’attrice era affetta da due neoplasie intestinali, presenti già nel gennaio 2009 (e ciò viene dedotto dalle precoci metastatizzazioni epatiche già rilevate da una indagine TC eseguita nell’aprile 2009 ; non è certa la loro provenienza ma, data la minore gravità della neoplasia del sigma e la maggiore aggressività della neoplasia del retto…, infiltrante la parete muscolare, le metastasi potrebbero essere originate da tale patologie neoplastica.) Tuttavia, tale malattia tumorale non avrebbe nella sostanza modificato l’evoluzione fatale del quadro patologico a causa della precocità delle lesioni metastatiche. In conclusione il ritardo diagnostico e terapeutico a mio avviso non ha modificato l’evoluzione della malattia, di per sé molto aggressiva, e l’aspettativa di vita a cinque anni dal primo intervento chirurgico, tempo massimo che si può ipotizzare nel caso di una così grave patologia tumorale.”

Ciò posto, osserva la Corte che va comunque preso in considerazione il ritardo diagnostico ed interventistico della neoplasia rettale, che ha indubbiamente influito sul periodo libero da malattia della signora, provocando sofferenze psicosomatiche ed ha inciso pesantemente sugli aspetti dinamico-relazionali del soggetto.

Come riferimento vengono utilizzati gli ulteriori approfondimenti resi dall’oncologo, ausiliario del CTU, che ha evidenziato un dato non considerato dal CTU, ovvero l’assenza di anemizzazione e la presenza di emorroidi giustificava la presenza e la misura del sanguinamento.

L’oncologo ha affermato la presenza di un’ estrinsecazione del tumore del sigma nel retto, che l’endoscopista ha biopsiato come tumore del retto, oltre a sottolineare che c’è stata anche esplorazione manuale del fegato, per escludere piccole metastasi superficiali che avrebbero potuto non essere viste dalla tac (anche l’oncologa che ha visitato il 22 maggio 2009 ha interpretato l’atto chirurgico come radicale, ritenendo quindi assente un secondo tumore sincrono primitivo rettale , secondo le linee guida non ha prescritto chemioterapia adiuvante).

Invero, sono state riscontrate metastasi epatiche 8 mesi dopo l’intervento, e l’anticipazione diagnostica non avrebbe mutato la prognosi che migliora con 20 -30% remissioni in 5 anni, ma qui le metastasi erano multiple fin dall’inizio.

Secondo l’Oncologo, il tumore al retto non era presente nell’aprile 2009, (era il carcinoma del sigma invaginato) altrimenti se nell’aprile fosse stato di 2 -3 cm, dopo 8 mesi senza terapia sarebbe stato di dimensioni molto maggiori.

La Corte non ritiene di rinnovare altra consulenza d’Ufficio poiché quella esperita in primo grado non evidenzia una condotta inadempiente della prestazione professionale resa dai sanitari ed anzi esclude che vi sia un ritardo diagnostico imputabile agli stessi e che comunque vi sia stata una perdita di chances in termini di durata ovvero di qualità della vita, anche con riferimento ad intervalli liberi da malattia, considerata appunto la permanenza in vita per 5 anni e la manifestazione di multiple metastasi precoci, che non permettono un diverso e migliore risultato di cura.

Conclusivamente, i motivi d’appello non possono trovare accoglimento.

La Corte rigetta il gravame e conferma la sentenza impugnata.

Avv. Emanuela Foligno

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