La Corte di Cassazione ha confermato l’assoluzione di due medici dall’accusa di omicidio colposo ai danni di un paziente: all’esito del giudizio controfattuale “non è stato possibile affermare con alta probabilità che le contestate condotte omissive, se realizzate avrebbero evitato, al di là di ogni ragionevole dubbio il decesso”
La vicenda
Con sentenza pronunciata nel 2017 il Tribunale di Catania assolveva due medici dall’accusa di omicidio colposo ai danni di un paziente, perché “il fatto non sussiste”.
La sentenza, impugnata dalle sole parti civili, veniva confermata in appello, cosicché la vicenda è approdata in Cassazione.
A detta degli eredi della vittima, la decisione della corte siciliana era errata nella parte in cui aveva escluso la penale responsabilità dei due imputati limitandosi ad affermare che le censure mosse dalle parti appellanti fossero prive di fondamento sulla base di quanto riscontrato dai periti del Tribunale, senza, tuttavia, fornire un’adeguata e logica motivazione in ordine all’assoluzione.
I motivi di ricorso
La corte aveva pure errato nell’escludere il nesso causale, in presenza di tutti gli elementi e senza la esistenza di concause idonee ad interrompere o escludere l’autonoma responsabilità dei due sanitari in ordine alla verificazione dell’evento.
Invero, il decesso del paziente si era verificato dopo l’assunzione di dosi eccessive di un farmaco e dopo che quest’ultimo, pur avendo ripreso conoscenza in ospedale aveva rifiutato sia il ricovero sia altri trattamenti sanitari.
A detta dei familiari della vittima, i giudici di merito avrebbero violato le norme relative al consenso informato e ai trattamenti sanitari obbligatori ed avevano inoltre, omesso di valutare l’effettiva capacità di intendere e di volere del paziente, alterata dall’assunzione in dosi eccessive di Seroquel.
L’accusa di omicidio colposo
Il loro congiunto non era in condizioni tali da comprendere di quali cure necessitasse; si trattava, infatti, di un soggetto che in passato aveva fatto uso di droghe e alcool, affetto da una grave forma di schizofrenia affettiva, già accertata in passato quando gli era stata prescritta come terapia la Quetiapina in associazione ad altri farmaci.
Sostenevano, dunque, che al cospetto di “un soggetto psicotico con discontrollo degli impulsi – che in quanto tale non aveva conoscenza della propria malattia e che aveva per la terza volta tentato il suicidio -, il medico consapevole della gravità e della cinetica dell’avvelenamento da Quetiapina ed incerto sulla quantità assunta, non avrebbe dovuto assolutamente tener conto della volontà eventualmente espressa dal soggetto e procedere con un ricovero forzato al fine di sottoporlo alle necessarie cure on condizioni di degenza ospedaliera”.
Insomma, a detta delle ricorrenti, era del tutto errata la valutazione compiuta dai giudici di merito in ordine all’impossibilità di interventi terapeutici salvavita determinata dal fermo rifiuto del paziente.
Il giudizio controfattuale e l’accertamento del nesso di causa
Come è noto, in tema di reato colposo omissivo, con riferimento alla materia della responsabilità professionale medica, il nesso causale può essere ravvisto solo quando alla stregua del giudizio controfattuale condotta sulla base di una regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica – si accerti che ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell’evento, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.
Il giudice deve verificare la validità nel caso concreto della legge statistica, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, cosicché all’esito del ragionamento che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata la conclusione che la condotta del medico sia stata condizione necessaria dell’evento lesivo con alto o levato grado di credibilità razionale o probabilità logica prossime ala certezza. Ne consegue che l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base a tutte le circostanze del caso concreto, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva dell’operatore sanitario rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell’ipotesi accusatoria. (Sez. Un. n. 30328/2002).
L’accertamento del nesso causale
Ebbene, nel caso in esame, la corte di merito aveva compiutamente esaminato le risultanze istruttorie e le valutazioni dei periti e consulenti di parte, fornendo adeguata motivazione del proprio convincimento sulla base di elementi oggettivi emersi dall’istruttoria dibattimentale, per giungere alla conclusione di escludere la sussistenza di una incidenza causale della condotta dei sanitari rispetto all’evento lesivo occorso alla vittima, in assenza di elementi probatori che ne conclamassero univocamente la natura negligente e colposamente omissiva.
“Non è possibile affermare con alta probabilità che le contestate condotte omissive, se realizzate sulla base di un giudizio controfattuale, avrebbero evitato, al di là di ogni ragionevole dubbio il decesso [del paziente]”.
La decisione
“Oltre a ciò,- hanno affermato gli Ermellini-, il giudizio controfattuale evocato dalle ricorrenti difetta radicalmente delle necessarie premesse logiche e, in specie, dell’individuazione univoca di un comportamento “esigibile”, doveroso – fondatamente e concretamente salvifico – alternativo a quello tenuto dagli allora imputati”.
Dunque, accertata la legittimità e la coerenza logica della sentenza impugnata, il ricorso è stato rigettato e gli imputati definitivamente assolti dall’accusa di omicidio colposo (Corte di Cassazione, Quarta Sezione Penale, n. 2863/2020).
La redazione giuridica
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