L’obbligo di diligenza gravante su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sull’errore altrui che siano evidenti e non settoriali: confermata la condanna per omicidio colposo a carico dell’aiuto chirurgo

La vicenda

La Corte d’appello di Napoli, nell’ottobre del 2018, aveva condannato un medico alla pena ritenuta di giustizia in ordine al reato di omicidio colposo commesso ai danni di una partoriente, deceduta a causa di una massiccia emorragia che le aveva provocato uno shock ipovolemico.

L’imputato, nella sua qualità di aiuto chirurgo, aveva fatto parte della equipe medica che aveva provveduto ad effettuare sulla persona offesa l’intervento chirurgico di parto cesareo. Nella specie, i profili di colpa individuati a suo carico avevano riguardato molteplici aspetti: la scelta del tipo di tecnica di incisione; la sottovalutazione della gravità delle condizioni intraoperatorie della donna e della cospicua emorragia che aveva prodotto l’intervento chirurgico praticato con la tecnica prescelta; la mancata effettuazione di una immediata isterectomia post-cesarea in un soggetto che presentava un accentuato accretismo placentare.

All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale assolveva l’imputato dall’accusa di omicidio colposo elevata a suo carico.

La Corte d’appello di Napoli, dopo avere rinnovato l’istruttoria dibattimentale e conferito incarico di perizia ad un collegio di esperti, ribaltava l’esito assolutorio, ritenendo che la posizione dell’aiuto chirurgo non potesse ritenersi distinta da quella del primo operatore (la descrizione dell’intervento non consentiva di individuare condotte operatorie separate) potendosi solo ipotizzare, dal ruolo di primo operatore, una posizione direttiva di questi, ma non esclusiva nell’esecuzione dell’intervento.

Nel caso in esame, vi era stata una modalità corale nello svolgimento dell’intervento chirurgico, peraltro in alcun modo smentita dalle dichiarazioni dello stesso imputato, il quale non aveva fornito alcun elemento che lasciasse intravedere un’alternativa versione.

Peraltro l’imputato sarebbe stato nelle condizioni di rendersi conto delle gravi condizioni della paziente, poichè la complessità della situazione era apparsa chiara sin dalle prime fasi dell’intervento di taglio cesareo, situazione che imponeva l’immediata scelta praticata solo nella seconda operazione, quando ormai le condizioni della paziente erano già compromesse; erronee furono, inoltre, le manovre di secondamento e tamponamento praticate nel corso dell’intervento di taglio cesareo, prima di procedere alla chiusura dell’utero, essendo da queste dipese l’atonia dell’utero e la successiva emorragia che condusse a morte la paziente.

Ebbene, la Corte di Cassazione (Quarta Sezione Penale, sentenza n. 39727/2019) ha confermato la decisione impugnata per le ragioni che seguono.

Secondo la Corte territoriale le condizioni di salute della donna all’atto dell’intervento di taglio cesareo erano state sottovalutate dal primario che l’aveva in cura. Risultava, dall’ecografia effettuata il giorno prima dell’intervento, che la donna – la quale aveva raggiunto il peso corporeo di 120 Kg. durante la gravidanza, ingrassando di 30 kg. nel corso della gestazione – aveva una placenta con inserimento basso e anteriore, il che avrebbe dovuto immediatamente allertare gli operatori – il primo chirurgo e l’aiuto chirurgo – in ordine a possibili complicanze collegate ad un probabile accretismo placentare.

All’atto della laparotomia si erano presentati in tutta la loro serietà ed importanza, gli aspetti di rischio collegati alle condizioni della donna, in quanto, dalle pur scarne annotazioni presenti nella cartella clinica, erano state rilevate condizioni preoccupanti di accretismo placentare che, come aveva messo in luce il collegio peritale nominato dalla Corte d’appello e come ammette tutta la comunità scientifica – avrebbero potuto determinare emorragie nella partoriente … così come avvenne.

Il ragionamento seguito dalla Corte di merito è stato, pertanto, giudicato logicamente corretto e privo di aporie e contraddizioni.

Adeguata e conforme ai principi stabiliti in sede di legittimità è stato ritenuto anche l’aspetto riguardante il ruolo rivestito dall’imputato, nella sua qualità di aiuto chirurgo, nella vicenda ed ai profili di responsabilità per l’omicidio colposo configurati a suo carico: benchè in posizione subordinata rispetto al primario, egli avrebbe potuto dissentire dall’operato del primo chirurgo e spingerlo alla immediata isterectomia, constatate le evidenti condizioni critiche interne della paziente. Tutto ciò non era avvenuto. Al contrario, il Supremo Collegio ha ritenuto pienamente condivisibili i profili di colpa addebitati al sanitario, i quali si erano concretizzati in una sottovalutazione della patologia, non adeguatamente fronteggiata al momento opportuno e in una erronea scelta chirurgica.

Insomma per i giudici della Suprema Corte deve essere condannato il medico per la sua condotta gravemente colposa (per negligenza e imperizia) anche nel caso in cui egli abbia svolto l’incarico di aiuto chirurgo.

La responsabilità dell’equipe medica

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha più volte evidenziato che “sebbene non possa essere genericamente addebitata alla equipe operatoria, nel suo complesso, la responsabilità per gli errori commessi da uno dei componenti, ove vi sia una precisa suddivisione di ruoli e di mansioni, tale principio non può valere ove i ruoli ed i compiti di ciascun operatore non siano nettamente distinti”.

Pertanto, ove manchi la predetta suddivisione di compiti ed ove non entrino in gioco conoscenze e competenze settoriali, anche nell’attività medico chirurgica di equipe, ogni sanitario non può esimersi dal valutare l’attività contestualmente svolta da altro collega, facendosi carico di vigilare sulla correttezza dell’altrui operato.

Sulla base di tale generale principio informatore dell’attività sanitaria, in una recente pronuncia la Corte ha avuto modo di affermare che deve escludersi che possa invocare esonero da responsabilità il chirurgo che si sia fidato acriticamente della scelta del collega più anziano, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l’erroneità, avendo il dovere di valutarla ed eventualmente di contrastarla (così Sez. 4 n. 7667 del 13/12/2017). In termini analoghi si è espressa anche altra pronuncia della Surpema Corte che ha stabilito come l’obbligo di diligenza gravante su ciascun componente dell’equipe medica concerna non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sull’errore altrui che siano evidenti e non settoriali e, pertanto, rilevabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio (così Sez. 4 n. 53315 del 15/12/2016).

La decisione

Si è quindi precisato che, in caso di scelte operatorie non condivise dall’aiuto chirurgo, è necessario che risulti, ai fini dell’esonero della responsabilità, il suo dissenso (Sez. 3, Sentenza n. 43828 del 29/09/2015: “In tema di colpa medica, il medico componente della equipe chirurgica in posizione di secondo operatore che non condivide le scelte del primario adottate nel corso dell’intervento operatorio, ha l’obbligo, per esimersi da responsabilità, di manifestare espressamente il proprio dissenso, senza che tuttavia siano necessarie particolari forme di esternazione dello stesso”).

Anche il profilo inerente all’onere di informarsi preventivamente sulle generali condizioni di salute della paziente, prima di intraprendere l’intervento, non può essere ritenuto esorbitante rispetto ai normali compiti incombenti sul sanitario nell’esercizio della sua attività, essendo, al contrario, la valutazione preoperatoria del caso, parte di un più generale dovere di cautela sullo stesso incombente.

In definitiva, la Cassazione ha rigettato tutti i motivi di ricorso e confermato la decisione di condanna per il reato di omicidio colposo pronunciata a carico dell’imputato.

La redazione giuridica

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