Omicidio Sarchiè: «Mio padre ucciso per invidia e gelosia»

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L’intervista in esclusiva per «Responsabile Civile» a Jennifer Sarchiè, la figlia di Pietro Sarchiè, il commerciante ucciso con due colpi di pistola alla testa il 18 giugno 2014. Ancora ombre sull’omicidio.

LA FIGLIA: «Gli assassini hanno fatto una cena con il pesce che vendeva papà, mentre guardavano la partita dell’Italia, due giorni dopo averlo ammazzato. Lo so perché il tipo di pesce che hanno dichiarato di aver mangiato lo vendeva solo mio padre, è scritto nelle fatture dei suoi acquisti di quella mattina».

L’OMICIDIO_ Pietro Sarchiè, sessantadue anni, commerciante di pesce di San Benedetto del Tronto, tutte le mattine si recava a Piorano con il suo camion frigo e, come di consueto, chiamava la moglie intorno alle 9.00 del mattino per rassicurala del suo arrivo. Una chiamata come tante, che la mattina del 18 giugno 2014 però non arriva. Poco più tardi scatta l’allarme e la denuncia di scomparsa di Pietro. Il suo corpo verrà ritrovato parzialmente bruciato il 5 luglio 2014 nella Valle dei Grilli di San Severino. Per la morte di Pietro Sarchiè sono indagati quattro uomini originari di Catania, Giuseppe Farina 41 anni e il figlio Salvatore di 20 anni, Santo Seminara 42 anni e Domenico Torrisi 61 anni. Secondo la Procura di Macerata, Pietro Sarchiè sarebbe stato vittima di un’imboscata a Seppio Sellano e ucciso con due colpi di pistola alla testa, esplosi dallo stesso Farina che ammette la sua responsabilità in una confessione. Abbiamo raggiunto al telefono la figlia di Pietro Sarchiè, Jennifer che vuole giustizia a tutti i costi.

Chi sono queste persone e perché secondo te tuo padre è stato ucciso?

La mia famiglia non conosceva nessuna di queste persone. Domenico Torrisi è un muratore, Santo Seminara è un imprenditore e Giuseppe Farina un muratore che vendeva pesce illegalmente e che voleva avviare il figlio verso questa professione. Salvatore Farina ha infatti da poco preso la licenza per vendere e hanno ucciso mio padre per gelosia e invidia. Volevano quindi che mio padre sparisse dalla circolazione per avere la piazza libera. Hanno smembrato il suo furgone e nascosto il corpo bruciandolo con del materiale edile proveniente dal capannone di Santo Seminara. Volevano eliminare tutte le tracce che conducessero a loro e smantellare la concorrenza per avere l’esclusività di vendere il pesce a Piorano. Avrebbero avuto il controllo totale sul territorio. Ora qui la gente ha paura e non lo vende più nessuno.

Che rapporto c’è tra i Farina, Domenico Torrisi e Santo Seminara?

Sono amici fra di loro, si conoscono da tanti anni, infatti si chiamano “compari”.  Giuseppe Farina è stato in galera per rapina, Santo Seminara è riuscito a cavarsela sempre grazie ai soldi e Domenico Torrisi è un muratore amico loro. Si sono anche dati la colpa a vicenda. Pensa che hanno fatto una cena con il pesce di mio padre mentre guardavano la partita dell’Italia, due giorni dopo averlo ammazzato. Lo so perché il tipo di pesce che hanno dichiarato di aver mangiato lo vendeva solo mio padre, è nelle fatture dei suoi acquisti di quella mattina. Non solo lo hanno mangiato ma anche venduto lo stesso giorno che lo hanno ucciso. I clienti di mio padre hanno riconosciuto le sue cassette del pesce. Quel 18 giugno Salvatore Farina infatti, dopo l’omicidio è andato a casa, ha lasciato la macchina e preso il suo furgone per andare in piazza a vendere il pesce di mio padre, posizionandosi davanti alla telecamera di servizio, per far vedere che lui stava lì. I clienti hanno chiesto dove fosse suo padre Giuseppe quella mattina non vedendolo al banco, e lui ha risposto che si trovava poco distante a prendere un caffè e che stava per tornare. Poco dopo Giuseppe, tornato al banco, ha subito rintracciato tutti i suoi clienti chiedendo loro di dichiarare (nel caso qualcun’altro avesse chiesto sue notizie) di averlo visto al banco tutto il giorno. Alcuni clienti però, hanno testimoniato il contrario e che lui dietro al banco non c’era.

Giuseppe Farina ha confessato da poco di aver ucciso tuo padre e ha parlato di un raptus, ha chiesto una perizia psichiatrica che gli è stata negata dal GUP.  Cosa ci dici in merito?

L’omicidio di mio padre era premeditato da almeno un anno. Dal 2013 i Farina hanno cominciato ad indagare su mio padre, a chiedere in giro notizie su chi fosse e da dove venisse esattamente mio padre. Poi il ritrovamento sul pc di Farina delle mappe con gli itinerari percorsi da mio padre. Non c’è nessun atto di follia, tutto era organizzato da tempo. Anche la fitta rete di telefonate tra i Farina, Torrisi e Seminara confermano la pianificazione dell’omicidio ma da sole non bastano. Spero che esca tutta la verità il prossimo 14 ottobre. Il 9 ottobre oltretutto Salvatore Farina sarà a processo per «stalking» nei confronti della sua ex ragazza dalla quale ha avuto una figlia.

Come consideri la posizione di Domenico Torrisi e Santo Seminara? Secondo te ci sono altre persone coinvolte?

Loro sono complici a tutti gli effetti. Sapevano tutto già da tempo. Le celle telefoniche dimostrano che il 18 giugno erano con i Farina al capannone di Santo Seminara. Erano tutti là a smembrare il camion di papà. Non sappiamo cosa si sono detti perché le intercettazioni telefoniche, sono successive al ritrovamento del corpo ma c’è una fittissima rete di telefonate fra loro, precedente alla data dell’omicidio. Il 19 giugno la cella telefonica di Torrisi è vicina al luogo del ritrovamento del corpo di mio padre, alla Valle dei Grilli. Lì avrebbe lasciato i sedili insanguinati del furgone e gli occhiali di mio padre. Esiste anche uno strettissimo collegamento telefonico il 18 giugno fra Giuseppe Farina e un’altra persona che aveva conosciuto in carcere a Catania una decina di anni prima, ma questa persona non è mai stata indagata (Salvatore Querulo). Molte altre sono le persone coinvolte secondo me. I Farina avevano un amico a Porto Sant’Elfidio e hanno chiesto a lui molte informazioni su mio padre. Gli indagati sono quattro ma credo che anche altri li abbiano aiutati.

Parliamo del furgone. È stato smembrato e i suoi pezzi sparsi per essere venduti. Forse è l’elemento che ha permesso di ricostruire la storia.

Sì, pezzi del furgone erano a casa di Domenico Torrisi, nel capannone di Seminara, nel garage del parroco e altri posti. Nel capannone è stata ritrovata la fotografia di mia nonna che mio padre teneva nel furgone. Ogni pezzo del furgone di mio padre è stato distribuito e gettato in diversi luoghi per non farlo ritrovare. Hanno anche avuto bisogno dell’ufficio smaltimento rifiuti dove occorrono dei documenti. Gli stessi documenti chiesti a Giuseppe Farina che avrebbe minacciato con un coltello l’impiegato dell’ufficio. Anche il meccanico che ha sistemato l’auto di Salvatore è stato minacciato. Con la sua auto infatti, Salvatore Farina aveva tamponato il furgone di mio padre durante l’imboscata del 18 giugno. Tutte le persone che sono state coinvolte loro malgrado hanno subito delle minacce.

In questa vicenda compare anche Don Mario Cardona, parroco di Seppio e dirimpettaio dei Farina. Tu che ne pensi?

Lui aveva nel suo garage il motorino di Salvatore Farina e alcuni pezzi del furgone di mio padre ma dice che non sapeva nulla. Il parroco metteva a disposizione il garage della curia vescovile ma ribadisce di non sapere niente.  Io questa figura non l’ho mai capita ma dagli atti è emerso che ha dato dei soldi ai Farina per allontanarsi e andare in Sicilia. Infatti loro (la famiglia Farina) facevano su e giù dalla Sicilia e per farlo avevano bisogno di denaro.  Inoltre nelle prediche invitava a non giudicare gli indagati senza aver mai speso una parola su mio padre.

Il 22 giugno scorso c’è stata una manifestazione davanti al Ministero di Grazia e Giustizia. Quale la motivazione?

Il 22 giugno è anche il compleanno di mio padre, che noi festeggiamo ugualmente. Ho organizzato un sacco di fiaccolate per mio padre e poi abbiamo deciso di manifestare davanti al Palazzo di Grazia e Giustizia. Abbiamo manifestato contro il rito abbreviato. Faccio parte dell’Associazione nazionale Famiglia c’è, dedicata alle famiglie delle vittime di omicidi efferati, e di SOS Italia Libera presieduta da Paolo Bocedi, associazione antimafia e antiracket che si è costituita parte civile con la mia famiglia. Voglio creare un precedente in Italia, perché la giustizia venga applicata davvero, è quello che ho detto anche a Luciano Violante quando ci siamo incontrati. Con una situazione così chiara non ci possono essere dubbi. Chi ha fatto le intercettazioni telefoniche è stato scrupoloso e molto preciso. Non è possibile che Domenico Torrisi sia già fuori di prigione e ora debba fare il volontariato. Non è giustizia questa. Questi uomini hanno organizzato tutto. Sono tutti degli assassini. Non solo abbiamo avuto la perdita enorme di mio padre ma anche una perdita di denaro. Mia madre non lavora e tutta l’attività di mio padre è stata distrutta.

Immagino quindi la difficoltà economica che stai attraversando. Ritieni di avere diritto ad una qualche forma di risarcimento?

No, non lo so. Gli avvocati che mi assistono e altri esperti che ho consultato mi hanno detto che noi non abbiamo diritto a niente.

Il corpo di Pietro Sarchiè viene nascosto alla Valle dei Grilli e il furgone del commerciante a Castelraimondo, nel capannone di Santo Seminara, che provvede subito a smontarlo e rivendere i pezzi. Santo Seminara e Domenico Torrisi sarebbero complici dell’occultamento delle tracce dell’omicidio eseguito da Giuseppe Farina e suo figlio Salvatore. La prossima udienza per Giuseppe e Salvatore  Farina, accusati dell’omicidio di Pietro Sarchiè è stata fissata per il prossimo 14 ottobre. Santo Seminara, accusato dallo stesso Giuseppe Farina che lo ha indicato come l’esecutore materiale dell’omicidio di Pietro Sarchiè, sarà invece a processo ordinario il prossimo 27 ottobre. Domenico Torrisi ha patteggiato per un anno e undici mesi di reclusione e 500 euro di multa per favoreggiamento, ricettazione e riciclaggio. Pena subordinata di un anno con lavori di pubblica utilità presso la casa di riposo di Gagliole. 

Intervista a cura di Laura Fedel

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