La CTU ha accertato postumi permanenti del 6% con decorrenza dalla data della domanda amministrativa (Tribunale di Foggia, Sez. Lavoro, Sentenza n. 3023/2020 del 26/10/2020 RG n. 6057/2014)

Il lavoratore chiama a giudizio l’Inail invocando il riconoscimento dell’origine professionale della patologia da cui è affetto e ottenere l’indennizzo in capitale per i postumi permanenti del 6%.

Nello specifico, il lavoratore risulta essere affetto da “ernia del disco con sequenza TSE, Ernia del disco posteriore mediana a livello L5 -S1, protrusione discale posteriore a maggior espressione sinistra L4 -L5, spondilosi ).

La fase istruttoria viene svolta attraverso prove testimoniali e CTU Medico-Legale ed, all’esito, il ricorso viene considerato fondato.

Il CTU ha accertato: “Gli elementi anamnestici, documentali e obiettivi, emersi in sede di visita peritale consentono di formulare la diagnosi di “Sindrome dolorosa lombare in ernia del disco L5 -S1 e protrusione discale L4 -L5, con sfumata compromissione funzionale. Trattasi di affezione osteoarticolare per definizione a genesi multifattoriale , per la quale, sulla base di studi sperimentali e statistico -epidemiologici, sono stati individuati, accanto a fattori di rischio individuali (costituzionali, metabolici, abitudini di vita, attività ludico -sportive), specifici fattori di rischio lavorativo quali: l’esecuzione abitudinaria di movimentazione manuale carichi (frequenza o numero di azioni al minuto, in rapporto anche all’intero turno lavorativo), impegno di forza, postura-gesti lavorativi incongrui, mantenimento coatto di posture di lavoro fisse e protratte, assisa o eretta (il D.Lgs. 81/2008 inserisce anche il fattore “postura” tra i fattori principali che possono aumentare il rischio in ambito lavorativo e lo descrive come ” l’atteggiamento abituale del corpo e dei diversi distretti corporei “), inadeguati periodi di recupero (pause compensative), esposizione a vibrazioni trasmesse a tutto il corpo; a ciò vanno aggiunti i fattori complementari che possono fungere da amplificatori del rischio, quali ad esempio il microclima sfavorevole, la presenza di contraccolpi e o movimenti bruschi, le compressioni localizzate su segmenti anatomici da parte di strumenti, oggetti o piani di lavoro. Il riconoscimento dell’origine professionale di tali patologie essendo, come già detto, di frequentissimo riscontr o nella popolazione adulta e manifestandosi clinicamente in modo analogo sia nelle forme correlabili alle condizioni di lavoro, sia in quelle non correlabili, non è agevole, per cui il nesso fra rischio lavorativo e patologia riscontrata non può essere aff ermato con piena certezza, ma solo in termini di probabilità, seguendo una metodologia valutativa che tenga conto di una attendibile quantificazione, in termini quali -quantitativi, del rischio lavorativo e di una buona conoscenza delle malattie riconducibili a sovraccarico meccanico. In buona sostanza, una volta fatto un corretto inquadramento diagnostico, è necessario stabilirne la correlazione con l’attività lavorativa svolta. La insorgenza delle affezioni degenerative, diagnosticate clinicamente e strumentalmente, sembra potersi ricondurre, secondo un criterio di elevata probabilità, alla specifica attività lavorativa, connotata, secondo quanto emerso dalla indagine anamnestica, riportata in dettaglio anche sul Diario Generale dell’Istituto, da un rilevante e protratto impegno ergonomico del rachide, distretto anatomico funzionalmente esposto a movimentazione di carichi e azioni lavorative a carattere ripetitivo e posture incongrue, oltre che a condizioni climatiche anche avverse, che nel corso del tempo hanno assunto il significato di condizione necessaria ed essenziale, anche se non esclusiva, per la determinazione della inabilità…… Il quadro clinico rilevato, associato a quello strumentale, induce una concreta menomazione della efficienza psicofisica del soggetto da quantificarsi nella misura complessiva del 6% (sei per cento) in relazione al danno biologico, con decorrenza dalla data della domanda amministrativa.”

Il Giudice del Lavoro condivide appieno le conclusioni del Consulente e accoglie la domanda del lavoratore con riferimento al grado di invalidità accertato dal CTU.

In conclusione, accertato il diritto del ricorrente a percepire l’indennizzo in capitale per l’inabilità permanente e danno biologico, con decorrenza dalla domanda amministrativa, l’Inail viene condannato al pagamento del relativo importo, con rivalutazione e interessi legali maturati successivamente al 120° giorno dalla data predetta, entro i limiti di cui all’art. 16, comma 6, della legge n. 412/1991.

Le spese di lite e di CTU vengono poste a carico dell’Inail soccombente.

Avv. Emanuela Foligno

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